Francesco Maria Gallo suona rock nella “selva oscura”

L’Inferno di Dante Alighieri diventa rock con Francesco Maria Gallo che lo ha declinato in musica, con tanto di album, spettacolo teatrale e libretto, per una versione aggiornata ai nostri tempi, individuando nella nostra società i Caronte, i Paolo e Francesca, le Medusa, i Pier delle Vigne, gli Ulisse, gli Ugolino e i Lucifero.

Francesco Maria Gallo, cosa rende unico il suo progetto “Inferno”?

Sicuramente l’empatia che io ho sentito, quando sono entrato nella vita reale, vera di alcuni personaggi, non come raccontati da Dante Alighieri. Nel sovrascrivere l’Inferno, infatti, mi sono accorto che i personaggi che Dante Alighieri aveva incontrato li ha messi all’Inferno semplicemente perché la maggior parte di essi erano suoi avversari politici. Questi personaggi, come Pier Delle Vigne (Canto XIII, ndr) e il Conte Ugolino (Canto XXXIII, ndr), mi hanno sussurrato delle cose e sono andato più a fondo, sono entrato nella loro vita e ho raccolto la loro verità. Da lì è nata una fortissima empatia come se li avessi conosciuti veramente, addirittura li sognavo la notte e quindi questo ha reso unico il mio Inferno, perché non è stato un riportare in musica la prima Cantica della Divina Commedia, ma una vera e propria sovrascrittura laddove i personaggi che io ho incontrato nel mio viaggio ideale mi hanno raccontato la loro verità. Dante Alighieri era sicuramente uno straordinario poeta, ma ricordiamoci che era anche un politico e, in quanto politico, anche abbastanza corrotto. Lui dichiarò che il suo approccio alla scrittura, all’ideazione della Divina Commedia era un viaggio di redenzione, ma in realtà non era affatto così. Il viaggio di Dante Alighieri, quindi la scrittura della Divina Commedia, era un mezzo, un pretesto per condannare i propri nemici politici o santificare i suoi amici politici. Poi, va da sé che è un’opera straordinaria per chiunque la conosca, però Dante Alighieri non era uno stinco di santo. È questo che connota il mio Inferno, è questo andare oltre la scrittura di Dante Alighieri. Io sono laureato al Dams in Spettacolo e Musicologia ed ho avuto la fortuna di avere un grande maestro, Umberto Eco, con cui feci un seminario ed è da lì che nacque un po’ la mia idea di lavorare sulla Divina Commedia. In questo seminario Umberto Eco raccontava, come sapeva fare solo lui in maniera assolutamente straordinaria, i codici semantici musicali che c’erano all’interno della Divina Commedia, e in particolare dell’Inferno. Finito il seminario, io mi fermai a parlare con lui e gli raccontai di questo mio sogno, di questo mio desiderio, e fu proprio lui ad aiutarmi a rileggere in maniera molto più approfondita l’Inferno, non con gli occhi di uno studente, ma con gli occhi di una persona che ha del raziocinio e che scende a fondo delle cose, e quindi mi stimolò a conoscenza”.

Questa sua lettura dell’Inferno, partita da un incontro con Umberto Eco, su quali fonti si basa?

Sono andato a studiare la vita, tanto per dire, di Pier Delle Vigne, che era un dignitario, straordinario intellettuale alla Corte di Federico II, che aveva portato in auge la bellezza e la cultura della sua Corte in tutta Europa, cosa che si evince proprio dalle cronache. I suoi avversari cortigiani erano talmente invidiosi che lo dileggiarono agli occhi di Federico II tanto da fargli credere che Pier Delle Vigne non lavorava per lui, ma per promuovere sé stesso. Federico II, che aveva creduto a questo dileggio, condannò Pier Delle Vigne non a morte, ma alla cecità tramite spada rovente. Il povero Pier Delle Vigne non riuscì a subire questa onta incredibile e levò la mano contro di sé e si suicidò. Con questo riporto anche alla realtà. La Divina Commedia, l’Inferno in particolar modo, ha dei codici straordinari che ci riportano alla nostra contemporaneità. Pier Delle Vigne è un simbolo di tutte quelle persone che vengono dileggiate o per invidia o per altre questioni e che armano la propria mano contro di sé, ce ne sono tantissimi esempi. Uno fra i tanti, che non si è suicidato, però sicuramente la causa della sua morte è dovuta al dileggio che ha subito, è Enzo Tortora. È stato accusato ingiustamente da un falso pentito della ‘ndrangheta calabrese, i magistrati fecero un procedimento d’urgenza e arrestarono Enzo Tortora e poi si scoprì che era tutto falso, che non era vero. Certo, Enzo Tortora non ha armato la propria mano contro di sé, ma sicuramente la natura sì, perché poi è morto di un male incurabile e sicuramente la causa è stato il grande dolore, il grande dispiacere che questo grande uomo ha avuto. Ma ci sono tantissimi esempi, come Mimì, la sorella di Loredana Bertè, che fu dileggiata dal suo manager, che andò a dire in giro che portava sfiga, e talmente tanto che poi alla fine Mimì si suicidò per questo motivo. Un altro esempio eclatante della realtà distorta all’interno dell’Inferno è Medusa (Canto IX, ndr), è un mito, sicuramente non è esistita, però la vera storia di Medusa non è quella che Dante Alighieri ci racconta nell’Inferno o che la stessa mitologia ci narra. Medusa era una donna bellissima, straordinaria, non era un mostro. Fu ingannata dal re Poseidone perché era invaghito della bellezza di questa donna talmente tanto che la trascinò nel tempio di Atena e la stuprò. Atena, indignata del fatto che fu utilizzato il suo tempio per compiere questo atto, non punì il dio Poseidone, ma punì Medusa trasformandola in un mostro. Addirittura, poi, Poseidone le taglia la testa e Dante l’ha messa all’Inferno. Medusa è il simbolo della donna abusata, è simbolo della violenza sulle donne e della violenza sui più deboli. Quindi anche in questo caso con ‘Regina greca’, che è una traccia del mio concept album, ho in qualche modo riportato a verità la storia di un personaggio, in questo caso mitologico, perché mi sembrava giusto farlo. Quindi ‘Inferno’ è una parafrasi della parafrasi: cerco di leggere all’interno delle storie che mi vengono sussurrate dai personaggi la loro verità ed attualità”.

Perché il brano “Francesca” e non Paolo (Canto V)?

Ci sono sia Paolo che Francesca, solo che la canzone su Francesca si chiama ‘Francesca’, la canzone di Poalo si chiama ‘Bacio sospeso’, addirittura, sono due canzoni. Paolo e Francesca sono il simbolo dell’amore, dell’amore che va al di sopra di ogni altra cosa: ‘Amor che nulla amato amar perdona’. Francesca era la moglie del fratello di Paolo, Paolo e Francesca si innamorarono, furono sorpresi da Gianciotto, fratello di Paolo, che li uccise mentre si stavano per baciare. Francesca è il simbolo più forte, anche nella Divina Commedia, nell’Inferno, è il portavoce fra i due, e questo denota la tenacia di questa donna. Io nella mia canzone, ‘Francesca’, faccio parlare lei e la racconto, e lei racconta di un amore straordinario al di sopra dell’orizzonte che non può pentirsi, quindi, preferisce essere trascinata all’Inferno pur di non tradire l’amore per Paolo. Paolo, invece, è più romantico, più dolce, racconta in questa ballad rock, ma romantica, di quel momento, del ‘bacio sospeso’, nel momento in cui lui, loro stavano per abbracciarsi, per baciarsi, ma la spada di Gianciotto sospese questo bacio”.

Chi sono le Francesca e i Paolo che ha incontrato?

Ce ne sono tantissimi di Francesca e di Paolo che ho incontrato. La vita quotidiana è piena di storie del genere, di matrimoni magari che sono stati celebrati non per vero amore, ma per liberarsi da situazioni familiari più dure o anche da questioni economiche. Sono tantissime le storie del genere, di amori che nascono e ti pongono davanti ad una scelta, perché l’amore non si può tradire, in amore non si possono dire bugie, per cui corri qualsiasi rischio per arrivare a questa meta, perché amarsi è la cosa più bella che possa esistere. Quindi storie del genere ce ne sono tantissime. In questo caso non ho voluto riportare a dei simboli attuali Paolo e Francesca, ma nella vita quotidiana di situazioni del genere ce ne sono sicuramente tantissime”.

Perché a Caronte ha dedicato anche un cortometraggio?

Perché Caronte è l’ingresso, è il demone che ti porta all’Inferno, è colui il quale mi ha condotto in questo viaggio ideale che ho fatto all’interno dell’Inferno. Quindi mi sembrava giusto dedicare il singolo e il cortometraggio a Caronte, perché poi da lì si discende all’Inferno. Quindi, attraversate le rive dell’Acheronte grazie a Caronte ho avuto la possibilità di conoscere questi personaggi all’interno dell’inferno che, in qualche modo, con tutta l’umiltà di questo mondo ovviamente, ho cercato di redimere”.

Qual è il verso di Dante che più le sta a cuore?

Sicuramente ‘Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita’, perché questo è la sintesi di noi esseri umani che ad un certo momento della nostra vita ci ritroviamo in un sentiero che non riconosciamo più, ed è quel sentiero che ci porta verso una determinata direzione che può essere il male o il bene, sta a noi scegliere ovviamente, sta a noi avere il coraggio di intraprendere delle scelte che ci portano verso una vita di male o di epicità. Nella mia modesta carriera musicale ho sempre in qualche modo tratto nutrimento dalla musica per raccontare il sociale e ‘Inferno’ è un’opera sociale, perché racconta la storia dell’uomo e dei peccati e degli inganni che da quando l’uomo è nato reitera. Ma non è un’opera pessimistica, è semplicemente un’opera che in qualche modo vuole far riflettere, e quale veicolo migliore per la riflessione se non la musica che è liquida, che entra dentro, che ti crea delle emozioni e una musica poi che trasporta delle liriche, dei testi. Poi, sarà anche una provocazione questa, perché purtroppo la musica di oggi, e soprattutto il consumo della musica di oggi, è un consumo nevrotico, non ascolti più, senti delle cose e non capisci ciò che stai sentendo, non ti soffermi sulle parole, le canzoni poi sono dei piccoli romanzi, in tre minuti e mezzo racconti la storia di una vita, e allora ho voluto in qualche modo provocare un’attenzione alla musica come veicolo, come trasporto di una storia”.

Come proseguirà questo suo viaggio dell’Inferno?

Con lo spettacolo abbiamo debuttato a Bologna al Teatro storico di Lucio Dalla in via Marescalchi, è andato in sold out per quattro repliche. Da febbraio saremo in giro per l’Italia, Covid permettendo. Abbiamo già delle date a Roma, all’Auditorium dell’Università Europea, a Diano Marina (Imperia), a Cosenza e a Palermo. La questione è un po’ congelata per il Covid. Peraltro, ‘Discesa all’Inferno’ è uno spettacolo quadrifonico, nel senso che utilizzo la musica, quindi con una band, ma c’è la danza contemporanea, che rappresenta la fisicità dell’Inferno, e una scenografia fatta di videoclip tridimensionali e, ovviamente, la parte attoriale. C’è una sorta di Virgilio, un attore fantastico che di volta in volta conduce il pubblico nel mio viaggio all’Inferno”.

Declinerà in musica anche le altre due Cantiche della Divina Commedia?

Non proseguirò con il Purgatorio e il Paradiso perché non mi appartengono. L’Inferno mi ha dato quello stimolo, quell’urgenza di raccontare dei personaggi che hanno vissuto una vita contaminata da dileggi e, poi, l’Inferno è rock ed io faccio il rock. Purgatorio e Paradiso sono sul pop e sul trap, quindi meglio di no. Io sono figlio del prog, della musica degli anni Settanta, dei Led Zeppelin, dei Pink Floyd, dei Queen, degli Spirits, questo è il mio appannaggio. Certo, ci sono tantissime citazioni, il mio background musicale e culturale è questo genere rock degli anni Settanta, ed ho cercato di educare anche i giovani perché tutto ciò che c’è adesso in realtà proviene da quella musica lì, mettendo però delle sonorità che in qualche modo i giovani potessero riconoscere come proprie. Tra l’altro, ho tantissimi ragazzi, la fascia d’età che va dai 18 ai 23/24 anni che mi scrivono dei messaggi, che sono interessati all’inferno. Allo stesso spettacolo, non alla prima che era dedicata alla stampa, ma, alle repliche la maggior parte del pubblico sorprendentemente era di giovani, di studenti universitari e questo mi ha fatto molto piacere”.

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