I Meteora, la band che rifugge i punti esclamativi ed ama quelli interrogativi. Andrea “Walker” spiega perché

“Se sapessimo davvero qualcosa di noi avremmo un lavoro normale, scriveremmo canzoni decenti e andremmo a ballare alle ‘Piscine’ in estate. Fortunatamente non sappiamo proprio un bel niente”, lo scrivono su facebook i Meteora, band di Siracusa. Presentandosi in questa maniera così originale, abbiamo contattato uno di loro, Andrea Marciante, per saperne di più. “Tutto è nato per caso, è un po’ colpa mia perché ho trasmesso la mia paura nei confronti dei punti esclamativi a tutti gli altri componenti della band. Luciano De Crescenzo diceva che le persone più pericolose del mondo sono i punti esclamativi e non i punti interrogativi, ovvero quelli che hanno tante certezze, quelli che sanno esattamente quello che vogliono, che poi alla fine sono anche le persone che comunque hanno più successo nella vita, nel mondo del lavoro. Il problema, però, è che queste persone non cambiano mai idea, vivono delle loro certezze e quindi non sono per nulla aperti al cambiamento. Di fatto, nessuno di loro può diventare un artista, può essere considerato un artista. Per questo preferiamo essere dei punti interrogativi piuttosto che dei punti esclamativi perché di certezze ne abbiamo poche e va bene così, altrimenti non faremmo quello che facciamo“.

Andrea, sei un po’ filosofo…

Io ho la disgrazia di essere laureato in filosofia, quindi…“.

Come mai questa scelta? C’entrano le tue origini?

Siracusa è Magna Grecia. Da qui è passato sicuramente Platone perché è stato ospite anche di un nostro carissimo tiranno (Dionisio I, ndr), mi sa che tutta la parte migliore della città ce la siamo bruciata un paio di millenni fa!“.

Parlando di Platone, che “idea” hai del mondo della musica?

La stiamo mettendo su questo piano? Che ‘idea’ ho? Se fosse davvero come un’idea di Platone non sarebbe poi neanche così complessa perché stanno tutte lì, non sappiamo in quale parte del mondo, del cosmo, di quale dimensione, ci sono tutte le melodie possibili, tutte le combinazioni di accordi, in realtà non è così. Quindi la nostra personalissima idea di musica, il fine più che altro, è di raccontare delle storie. Questo perché di fatto siamo fatti di storie, di ricordi, di esperienze e l’unica cosa che possiamo fare è quella di provare a raccontarle a chi ci ascolta, perché se non siamo coerenti e sinceri con la nostra musica, con la nostra idea di musica, difficilmente riusciamo a farci ascoltare da qualcuno. Questo è anche uno dei motivi per cui abbiamo deciso di scrivere in italiano. La prima volta che siamo arrivati in sala, io non potrei mai dimenticarlo, abbiamo buttato giù quattro accordi tanto per suonare e abbiamo provato a cantare in inglese, dopodiché ci siamo un attimo fermati e ci siamo detti: ‘Ci rendiamo conto che anche quando stiamo zitti stiamo zitti in italiano? Che senso ha cantare in inglese? Come facciamo ad essere onesti con noi stessi?” Quindi la nostra idea di musica è un po’ quella. Di fatto l’album in uscita si chiama proprio ‘Storyteller’, cerchiamo di raccontare storie, poi la musica arriva da sé, fluisce da questa dimensione che non conosciamo fino alle nostre dita“.

Qual è il punto di partenza delle vostre storie, realismo o idealismo?

Veniamo innanzitutto da percorsi artistici e anche personali completamente diversi. Quindi abbiamo scelto di creare una sorta di coscienza altra, quindi una creatura vera e propria che è un po’ i Meteora. Meteora è un po’ come se fosse un bambino con una sua storia, un suo percorso, un suo vissuto, quindi le storie nascono dalla vita personale di ognuno di noi, dall’esperienza. Molti pezzi sono autobiografici, la cosa importante è che rappresentano un po’ l’anima, se così possiamo dire, della band, perché ci sono pezzi che parlano e raccontano la vita del batterista, altri che raccontano la mia di vita, del bassista, quindi tutto insieme va a formare una sorta di coscienza collettiva di questo bambino, di questo ragazzo che è proprio Meteora. Sì, sono fondamentalmente storie che partono da un realismo spietato, ma la cosa bella è che comunque è un realismo comune a tutti. Io ho fatte mie le storie di Walter, Walter ha fatto sue le storie mie, questo è molto bello perché te li fa sentire ancora più vicini i pezzi. Abbiamo anche cercato quindi di raccontare delle storie universali. In fondo parliamo di quello, di che altro vuoi parlare? Di tutto quello che nella vita almeno una volta è capitato a tutti noi“.

Meteora, però, indica un passaggio repentino…

Vuoi la spiegazione filosofica o quella reale?

Tutt’e due…

Quella filosofica ti potrei dire, sì, è vero, hai perfettamente ragione, però la cosa più importante, anche nel passaggio di una meteora, è poi la luce che riesci a creare, quindi noi siamo esseri fatti di luce e ci identifichiamo in tutto questo. La versione reale è che, una volta che è venuto il primo bassista nella band, abbiamo detto come dobbiamo chiamarci? Sono venuti fuori una serie di nomi improponibili, perché poi è sempre così, viene fuori tipo il peggio che hai dentro quando devi scegliere il nome della band, e il bassista c’ha detto che a lui sarebbe piaciuto tantissimo suonare in un gruppo dal nome Meteora, perché credo fosse un grande fan dei Linkin Park e quindi l’abbiamo accontentato di fatto, perché era il componente più triste della band, quindi abbiamo cercato di accontentarlo e poi dopo ci siamo andati a inventare una spiegazione filosofica del nome per non raccontare questa storia“.

Facciamo un po’ di ontologia: Andrea Marciante alla voce, chitarra e tastiere, Walter Nicastro alla batteria e Alessandro “Alan” Antonuccio al basso. Soprannome, età, luogo di nascita e segno particolare di ognuno di voi?

Ora mi ammazzano… Più che altro per il segno particolare… Partiamo da Alessandro. Il suo soprannome è Alan, ormai ho difficoltà anche a chiamarlo Alessandro. Alan è quasi un acronimo perché è Alessandro Antonuccio quindi dalle iniziali Al e An viene fuori Alan ed è pure figo come soprannome. Lui è di Avola, un paesino vicino Siracusa“.

Avola…il vino…

Sì, esatto, però lui è astemio. È una contraddizione fatta persona. È di Avola, quindi abbiamo avuto anche difficoltà a provare nel periodo di semi-lockdown delle ultime settimane, perché non erano consentiti gli spostamenti tra comuni qui in Sicilia. Alan è piccolino, ha 25 anni, studia Economia, dopo aver abbandonato la facoltà di filosofia, non mi chiedere perché, perché secondo me è una delle cose migliori che possa capitare nella vita di un essere umano, poi lascia perdere l’ambito lavorativo, però, lui la filosofia l’ha abbandonata… Alan al basso. Walter lo chiamiamo in modo molto affettuoso ‘Wolly’ perché ricorda un po’ il robottino Wall-E, però cambiamo l’accento per dare un colore un po’ più punk. Lui ha30 anni, suona la batteria e… segni particolari? Nessuno, non ne ha. Poi ci sono io che sono il più vecchio della band, ho 35 anni, non ho nessun segno particolare, nessun soprannome… Fai tu“.

Marciante di cognome… quello che ha una marcia in più.

In inglese viene un nome figo, Andrew Walker“.

Giusto… Hai detto che partite da un’esperienza. L’ultimo singolo, “Via Mameli” (The Web Engine), racconta la fine di una storia. Per chi di voi è autobiografica?

Vuoi sapere chi è lo sfigato?

Esatto!

Questo te lo posso dire. Sono io. ‘Via Mameli’ perché di solito diamo un tempo e uno spazio a ogni nostro ricordo e tantissime volte lo spazio corrisponde al nome di una via, quindi in questo caso ‘Via Mameli’ nasce da questo, non abbiamo una passione segreta per la toponomastica. Dovevamo collegarlo ad un ricordo e abbiamo scelto il luogo all’interno dei quali si sono svolti un po’ tutti i fatti. Autobiografica, ma col tempo è diventata anche parte della vita degli altri componenti, un po’ perché l’altra persona era conosciuta agli altri della band, un po’ perché quando ti ritrovi a scriverla, ad arrangiarla, a cantarla per tanto tempo, alla fine la senti anche tua la storia di qualcun’altro, è un pezzo a cui teniamo parecchio e ci fa male ogni volta che lo suoniamo perché sono storie universali, è capitato a tutti ed è capitato anche agli altri della band“.

Il vostro primo ep è stato “Via Milano 46” e il titolo riprende il nome dalla via in cui si trova la vostra sala prove, da “Via Mameli” mi aspettavo qualcosa di patriottico! Tutte queste strade, in ogni caso, sono di Siracusa?

No, ‘Via Milano’ è di Siracusa perché è dove abbiamo la sala prove, lo studio, lo chiamiamo bunker perché si trova non so quanti metri sotto terra e lì facciamo tutto: scriviamo, suoniamo, arrangiamo. ‘Via Mameli’ è una via di Firenze in realtà, dove si sono svolti i fatti e non c’entra niente con l’inno“.

Usando questa metafora delle “vie”, quale strada state solcando ora e quale volete percorrere in futuro?

Vorremmo innanzitutto cambiare strada perché da questa parte della carreggiata non si suona dal vivo, aspettiamo che passi questo periodo infame per poter tornare a suonare anche dove suonavamo prima perché ci sta mancando tantissimo“.

Vi mancano i live.

Non hai idea di quanto ci manchi la gente che fa casino, che balla, perché nel disco abbiamo cercato di arrivare a un po’ più di persone, quindi abbiamo preso una strada un pochino soft, quando suoniamo dal vivo siamo sempre una band pseudo rock quindi picchiamo di brutto, ci si diverte davvero tanto. Quella è la prima cosa che vorremmo, poi arrivare a quante più persone possibili e non fermarci mai. Adesso sta per uscire l’intero album che è già stato registrato, nel frattempo stiamo lavorando anche ad altri progetti. Abbiamo in mente di fare un featuring con un altro artista, e non vogliamo fermarci“.

Qualcosa in più sul nuovo album?

S’intitola ‘Storyteller’ e raccontiamo delle storie, ci piace l’idea del cantastorie un po’ più rock, un po’ più moderno. Siamo abbastanza diretti, raccontiamo delle storie dalla A alla Z, senza inventarci nulla, ed è il nostro modo per essere sinceri con chi ci ascolta. L’album è il nostro regalo di Natale“.

Si parla tanto di storytelling oggi, mi dici le tre qualità che uno storyteller moderno deve assolutamente avere?

Se lo sapessi avremmo risolto gran parte dei nostri problemi. Crediamo che la cosa principale, come ho detto prima, sia essere coerenti con se stessi, quindi con le persone, in generale è una qualità che hanno un po’ tutti, anche quando non è musica e si ascolta qualcuno raccontare qualcosa, se non sei sincero, coerente col tuo percorso, la tua storia, con quello che sei fondamentalmente l’altra persona se ne accorge e perdi di credibilità ed è praticamente tutto inutile quello che fai. Nella musica puoi essere il più grande musicista della storia, ma se con i contenuti racconti qualcosa di già sentito o di scontato le altre persone se ne accorgono. Quindi direi che la prima qualità sia quella della coerenza ed è l’onestà intellettuale. Un’altra qualità, secondo noi, è quella di essere più diretti possibile, perché abbiamo sempre cercato nei nostri testi di cantare queste storie così come le racconteremmo ad un nostro amico, quindi abbiamo evitato quel voler essere alti per forza e poi insomma alto e tanto superficiale mi verrebbe da dire, abbiamo cercato di essere diretti e schietti. Quindi per noi le qualità migliori, quando si racconta qualcosa, sono queste, per gli altri non lo so. Se lo sapessi farei il cantautore con la ‘C’ maiuscola“.

Le sonorità pop rock sono quelle che vi caratterizzano?

Sì, se ti riferisci all’album in uscita ‘Storyteller’, ci sono ovviamente dei pezzi un po’ più spinti che ci ricollegano alle radici dei Meteora, quindi con più chitarra elettrica e con delle scelte stilistiche un po’ più primitive. Ma di base il sound è sempre quello. Abbiamo cercato di sfruttare quello che sappiamo suonare – basso, batteria, chitarra e tastiera, pianoforte -, direi pop nel senso più alto del termine, essere considerati pop per noi non è un’offesa. So che rock è più fine, ma pop non è un’offesa, quindi possiamo dire che è un album pop“.

Come Meteora avete un tormentone?

Di recente ogni volta che parliamo con Alan lo invitiamo a non mangiare più biscotti“.

Avete un gesto da terzo tempo che fate quando vi incontrate per suonare?

Da terzo tempo? Tra le altre disgrazie ho pure quella di essere un rugbista, quindi il terzo tempo mi tocca tantissimo, ma è alla fine, quindi si alla fine ci abbracciamo tutti e ci facciamo i complimenti e un po’ facciamo come nel Titanic, ogni tanto qualcuno di noi se ne esce con la frase: ‘È stato un onore suonare con voi questa sera’. Però prima no, ma ci guardiamo, sappiamo insomma quello che dobbiamo fare, andiamo lì e lo facciamo, anche perché essendo in tre facciamo molto affidamento ognuno sull’altro, non siamo una band numerosa, quindi ognuno di noi ha un compito e se sbaglia è un problema, quindi prima di suonare c’è sempre molta concentrazione. Poi una volta che siamo sul palco ci sciogliamo e ci divertiamo anche, ma prima di suonare non abbiamo un rituale particolare“.

Un libro di un filosofo che consigli per Natale?

Ritornando a prima, siccome di solito i libri dei filosofi, se non hai una preparazione minima, finisci per annoiarti quando li leggi, quello che posso consigliare io è tutta la collezione di De Crescenzo che mi ha fatto appassionare alla filosofia, quindi dalla storia della filosofia antica fino alla storia della filosofia contemporanea, praticamente racconta tutti gli autori in modo ironico e li fa capire davvero bene e non li dimentichi più, molto di più di quanto non si faccia studiandoli all’università. Quando De Crescenzo è morto, per me è stato come quando muore uno di famiglia“.

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