Mouri: spiazza, diverte e fa riflettere
Parte con una simpatica “gaffe” l’intervista con il rapper Mouri: all’orario programmato per la telefonata si chiude fuori di casa col telefonino dimenticato dentro! Posticipiamo di qualche ora e lui appena risponde al telefono afferma “Ops” e tutto comincia sotto la buona stella della leggerezza che in questo periodo è tanta cosa. Nato a Manduria, in Puglia, i genitori gli danno il nome di Carlaberto per cercare un punto d’incontro: “mia madre voleva chiamarmi Alberto e mio padre Carlo“. Imbevuto di cultura hip hop, è un campione di freestyle conquistandosi nelle battle il triplice soprannome di MisterMasterMonster. Il nome d’arte Mouri non si sbaglia se lo si collega al popolo polinesiano dei Māori. “Facevo graffiti in giro per il mio paese, non ero un grande artista, facevo le firme, un bomber che fa i tag divertendomi a cambiare la morfologia delle parole“.
La tua musica è il riflesso di questa cultura urbana?
“Mi ero già avvicinato alla musica da bambino per tradizione familiare, perché mio padre suonava il pianoforte. Poi sui 12 anni ho cominciato a fare un po’ il ribelle andando sullo skate e nello stesso periodo mio fratello arrivò con questa fissa dell’hip hop in casa: pantaloni larghi e musica rap“.
Sul profilo Instagram leggo i tuoi soprannomi MisterMasterMonster: tutti e tre ti descrivono?
“Uno dei mille alter ego“.
Sei famoso per le battle che ho letto non fai più: non ti mancano?
“Sì, ogni tanto. Mi divertivo ma adesso la stessa endorfina che mi rilasciava allora fare le battle adesso me la dà fare i pezzi, scrivere le canzoni“
L’ultimo singolo è “Che peccato” con la collaborazione di Precious: come nasce questo brano?
“Un rap un po’ casuale che uscì una sera che stavo lavorando su altro: partì una base, ci feci un freestyle e rimase un attimo lì. Poi mi stavo beccando spesso col maestro Ferdinando Arnò (anche lui di Manduria, ndr), amico e grande artista a livello internazionale, gli feci ascoltare questo rap che riassumeva e centrava in pieno quelli che erano i discorsi dei nostri incontri dove parlavamo sempre delle difficoltà che pervadono i posti da cui veniamo, ne rimase subito colpito e ci mettemmo a lavorare“.
Nel videoclip c’è il riferimento esplicito all’Associazione musicale Franco Erario: che legame c’è con te?
“Io li ho conosciuti in occasione del video e c’è stato un super feeling. Loro hanno un rapporto di stretta collaborazione col maestro Arnò, quindi li ha introdotti lui. È una cosa che mi ha fatto un piacere immenso, sono davvero tutti uniti, una famiglia: spaccano!“.
Tra le immagini colpisce la scena dei giovani tra le nuvole: a chi ti sei ispirato?
“Voglio puntualizzare che tutta la direzione visionaria del video sono tutti dei ‘trip’ del maestro Arnone con il quale comunque ci siamo confrontati. I giovani che volano per aria penso che sia l’immagine che meglio sintetizza tutto il messaggio della canzone, quello di tagliare i tiranti che ci tengono a terra e non ci permettono di spiccare il volo. Alcuni passaggi del video (in cui si vedono ad esempio persone coperte da lenzuola, ndr) hanno il riferimento a Christo per l’impacchettamento dei monumenti“.
Ci sono frame davvero cinematografici.
“Sì, come la guida del carro funebre che ha un certo appeal cinematografico“.
La targa con la scritta “Che peccato” è stupefacente!
“Me la sono conservata quella targa!“
Diventerà sicuramente un oggetto di culto. Dopo “Che peccato” come prosegue il tuo progetto discografico?
“Al momento sto lavorando al mio album, a partire dai singoli che andranno a formare il disco. Ho contatti con diverse realtà musicali. Ci sono un bel po’ di cose in cantiere“.
Aspetterai la fine dell’emergenza sanitaria per far uscire l’album così da poterlo promuovere con un live?
“No, il Covid aspetterà l’uscita del mio album per finire!“.
Fantastico, sei controcorrente e riesci a giocare anche su questo. Qual è il tuo motto?
“A livello proverbiale quello a cui sono più legato ed è anche il simbolo della mia educazione è ‘fai bene scordalo, fai male e pensa’“.
Grazie, Mouri.