Michelangelo Nari: “Nel mondo del musical ci si prende troppo sul serio, bisognerebbe provare a essere un po’ più se stessi e un po’ meno i personaggi che si interpretano”

Com’è entrata la musica nella vita di un appassionato di tennis? “Come un colpo di fulmine. Io credo nei colpi di fulmine da tutti i punti di vista e il 25 febbraio del 1999 stavo guardando il Festival di Sanremo in tv e c’era come ospite Riccardo Cocciante che ha cantato Notre Dame de Paris in francese, io ho sentito una canzone che è la stretta allo stomaco che provi veramente quando ti innamori ed ho detto ‘ecco, io da grande voglio fare questo!’. Da lì è cominciato tutto il percorso, avevo sedici anni“. Siamo al telefono con Michelangelo Nari, oggi 38enne, nato a Finale Ligure (Savona) e per lavoro trasferitosi prima a Milano e poi a Roma, in realtà da un bel po’ fa avanti e indietro tra le due città. Quest’estate è uscito col cd “Vous permettez, Aznavour?” che presenterà live per la prima volta il primo ottobre al Teatro degli Eroi di Roma.

Chi o cosa ti ha fatto riscoprire il repertorio di Charles Aznavour?

La parte francese ce l’ho nel sangue, cioè di sangue sono un po’ francese, anche se poi è una parte che io non ho mai esplorato a livello familiare. Da ragazzino in casa risuonava poca musica, ma quella poca era dei cantautori italiani da Tenco a De Andrè, e qualcosa di francese, quindi nel background c’era. Poi un anno e mezzo fa più o meno mi avevano chiamato a Pistoia per un concerto legato a Édith Piaf, colei che ha scoperto Aznavour, e quindi nel preparare questo concerto mi sono messo un po’ a riascoltare queste canzoni. Poi io collaboro da anni con una compagnia di Roma che fa spettacoli in lingua francese, quindi è una lingua che continuo a praticare, e risentendo queste canzoni ho detto: in questo stile, in questo mondo, mi sento proprio a casa. Quindi un po’ come se il passato fosse ritornato alla memoria e quindi mi sono detto: investiamo un po’ di tempo, energie, risorse nel proporre questo repertorio che forse è un po’ sconosciuto, un po’ dimenticato magari qui in Italia, però mi sembra molto intenso, molto raffinato e molto teatrale. Quindi facendo io principalmente musical, anche se non ho un’estrazione da performer perché non sono un performer, credo che questa teatralità delle canzoni sia un qualcosa che richieda anche una formazione attoriale in qualche modo“.

Cosa proporrai nel live?

Sono sedici canzoni, è proprio un viaggio tra le canzoni di Aznavour. Ci sono brani più famosi, brani meno noti, principalmente in lingua francese, anche se poi ci saranno interventi in italiano, in inglese, in tedesco, in ebraico, in spagnolo e in russo. Le canzoni vanno raccontate, non vanno solo cantate. Non è un concerto di voce, non è un virtuosismo vocale. In ogni canzone è come se ci fossero dei piccoli quadri. Ci saranno dei piccolissimi elementi scenografici e visivi, ma sono veramente dei dettagli, però è come se in ogni canzone ci fosse una storia che viene raccontata, come se il protagonista della canzone in qualche modo si raccontasse. Sarò accompagnato da una band. Sono tre musicisti: Mauro Scardini al pianoforte, Stefano Marazzi alla batteria e Patrizio Sacco al contrabbasso. Poi ci saranno tre ospiti femminili perché ci saranno tre duetti: sono Rosy Messina, Eleonora Segaluscio e Martina Cenere. Ci saranno i brani del mio cd, appunto ‘Vous permettez, Aznavour?’, e altri brani: nel cd sono 10, nel concerto sono sedici“.

Tu suoni il pianoforte?

“Guarda, malissimo. Quando ero ragazzino suonavo il flauto traverso. Quando canto perdo ogni tipo di lucidità, quindi non sarei in grado di accompagnarmi cantando”.

Quindi non rischi come Aznavour che ha recitato in “Tirate sul pianista” di François Truffaut (ridiamo, ndr), ma come lui hai mai ricevuto proposte cinematografiche?

Ho fatto qualche cortometraggio, uno proprio a tematica francese, “La bouillabaisse” (zuppa di pesce tradizionale della Provenza, ndr), ti parlo del 2015 che era una cosa comica, avevo un ruolo abbastanza comico. Però è qualcosa che non ho mai esplorato. In realtà Io nasco come cantante puro. Ho cominciato a fare il corista. Ho cominciato a fare registrazioni. Poi sono arrivato al teatro. Non mi dispiacerebbe affatto avere qualche esperienza più continuativa davanti alla macchina da presa. Vediamo, magari questo progetto è di buon augurio per altro, chissà…!“.

Sei stato protagonista di tanti musical, quale ti piacerebbe interpretare in futuro?

Aznavour dice: ‘Se fossi stato alto, biondo, con gli occhi azzurri e una voce pulita non avrei avuto questa carriera. Io lo penso un po’ anche di me. Nel senso che io non sono alto e ovviamente nel musical una certa vocalità e un certo ruolo devono sposarsi con una certa fisicità. Quindi se mi dici che ruolo vorresti fare ti posso dire il fantasma del ‘Fantasma dell’Opera’, ti posso dire Gesù di ‘Jesus Christ’ – anche se non sono rock ma quel ruolo mi piace molto -, però poi so che fisicamente magari non sono giusto, specie per il fantasma che deve anche avere una certa imponenza fisica. Ti posso dire che un ruolo che ho fatto e che mi sentivo molto bene addosso è quello che ho fatto nell’ultimo musical che è ‘Sweeney Todd’ dove facevo Tobias, il garzone, dove in realtà c’era questa parte anche un po’ fanciullesca, un po’ innocente, avendo la faccia da bravo ragazzo che so di trasmettere, ma poi c’era anche un grosso tormento interiore, una grossa follia in fondo, un grosso malessere che in qualche modo veniva fuori. Quindi so di avere la faccia tipica del coprotagonista e del migliore amico, ma se mi facessero fare il cattivo più spesso o il pazzo, sarebbe molto più divertente“.

La tua carriera spazia in tante culture e lingue diverse, quali obiettivi ti sei posto nel tuo progetto musicale?

La lingua è un mezzo, così come la parola. Noi usiamo le parole per trasmettere delle cose. Io ho vissuto per un periodo in America e aiutavo gli studenti del college che dovevano cantare in più lingue con l’alfabeto fonetico. Li aiutavo nella dizione. Con l’alfabeto fonetico a me è capitato di cantare in norvegese, in giapponese, canto in sei lingue, in questo concerto in sette. Ogni lingua ha proprio un suono suo e mi piace molto l’idea di trasmettere cose diverse e sentire anche la mia stessa voce che cambia secondo la lingua che uso. Non c’è un obiettivo specifico che io mi sono posto. Prima si è detto ‘mi sento a casa in questo repertorio’, ed è proprio così. Per fare questo lavoro, in Italia devi essere versatile, devi saper fare di tutto. Faccio musical, ho spaziato dalla musica dance alle sigle dei cartoni animati e all’operetta, avevo bisogno di sentirmi a casa. Quindi questo è un repertorio ed è un progetto che io ho fatto un po’ per me, per dire a me stesso ‘ok, puoi andare ovunque, ma quando hai bisogno di essere a casa, devi cantare questo’. È un po’ come quando tu sei sempre in viaggio, ma poi hai bisogno della tua tana dove tornare“.

Lo spettacolo dal vivo è in sofferenza per l’emergenza Covid-19, tu quale via d’uscita intravvedi?

Di base sono sempre un ottimista. Tutti mi hanno sconsigliato di fare questo spettacolo il primo ottobre, perché le normative non sono ancora definite, perché c’è un aumento dei contagi. Insomma, la situazione non è rosea e lo sappiamo tutti. Però credo che se non si fa nulla e non si osi un minimo e stiamo solo a piangerci addosso, le cose non possono migliorare. Quindi è un rischio sicuramente, però è un rischio che mi sono voluto prendere e speriamo che la gente venga e qualcuno mi dia ragione! Però, in generale, sai, spero, non ci credo tanto, però ci spero che questa situazione un po’ aiuti anche gli attori stessi. Il mondo del musical è un mondo che molto spesso si prende molto sul serio, anche un po’ troppo, bisognerebbe anche un po’ scendere dal piedistallo che ci siamo creati da soli, no? Semplicemente per rivalutare anche la voglia di perseguire dei propri progetti, delle proprie idee, delle proprie iniziative e provare a essere un po’ più se stessi e un po’ meno i personaggi che si interpretano”.

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