Miriam Mesturino: una vita per il palcoscenico

Quando il teatro è donna: Miriam Mesturino è la dea di un palcoscenico che si rialza a testa alta dalla crisi del Covid-19. Ha grinta, passione, professionalità e successo. Nata a Torino, ha sempre esercitato la professione di attrice a livello nazionale, collaborando parallelamente con la realtà imprenditoriale di famiglia nella programmazione dei teatri. Attualmente dirige una propria compagnia di prosa, DianAct Produzioni, ed è direttrice artistica di MC Sipario Produzioni Teatrali. Ha una padronanza fuori dal comune del palcoscenico, sia del dietro le quinte che della scena. Anche se il lavoro la porta fuori dalla sua città, questa è sempre nel suo cuore: “Io sono nata e cresciuta a Torino e c’ho lavorato tantissimo, tornandoci ogni anno a lavorarci. So che il pubblico di Torino mi vuole bene, mi segue e io ovviamente cerco di portare sempre dei prodotti che non deludano questo pubblico che mi vuole bene”.

Miriam Mesturino, qual è stato il suo primo incontro con il teatro, visto che è nata in una famiglia che calcava il palcoscenico?

Credo che il primissimo incontro è stato quando addirittura avevo un anno. I miei genitori, che poi si sono dedicati sempre all’organizzazione teatrale, alla direzione artistica di teatri, alla formazione di giovani artisti, quando erano studenti universitari hanno anche recitato; quindi, io so che la prima volta che mi hanno portato in un teatro, dove stavano recitando truccatissimi e mascheratissimi, perché stavano facendo una cosa dove erano irriconoscibili, io dal fondo alla platea ho gridato subito ‘papà’, ho visto subito che c’era mio padre in scena. Questo per dire che io fin da piccolissima sono stata in teatro, ho assistito a spettacoli, a prove. La mia prima esperienza diretta è stata a sei anni, quando ancora la Rai di Torino, perché io sono cresciuta a Torino, faceva sceneggiati televisivi, hanno realizzato uno sceneggiato con Ninetto Davoli, Adriana Asti, Franco Interlenghi e io ero andata a fare un piccolissimo ruolo, poco più di una comparsa. Avevo sei anni, ed è stata la mia primissima esperienza professionale. Poi il debutto per me importante è stato a 8 anni in un giallo di Agatha Christie, ‘La tela del ragno’, perché lì nella storia la bambina ha un ruolo abbastanza significativo, visto che a un certo punto addirittura è sospettata di aver compiuto lei l’omicidio, e quindi quella per me è stata la prima esperienza vera di lavoro nel mondo dello spettacolo. Ricordo ancora le sensazioni. Ero talmente travolta da tutto quello che mi accadeva attorno come effetti sonori, come effetti di luce, che non ho neanche pensato che c’era il pubblico. È stata strana come esperienza, io ero più presa da tutto questo; quindi, è stato un debutto senza nessun tipo di ansia, di agitazione, di paura, anzi mi divertivo proprio tantissimo. Poi successivamente sono stata scritturata dalla Rai Radio di Torino per una serie di sceneggiati radiofonici, ‘I racconti di mezzanotte’. Io facevo una bambina strega, a quel punto avevo undici anni, e ho preso coscienza che potevo fare questa cosa che mi piaceva tantissimo e guadagnare dei soldi, perché io fino ad allora non avevo capito che poteva essere un lavoro. È nato tutto proprio come un gioco. Poi ovviamente questo, all’inizio bello, entusiasmante, resta comunque sempre un lavoro che uno fa con grande passione, però, poi, come in tutti i mestieri, ci sono alti e bassi, si fanno anche tante cose che magari uno non fa con il massimo della convinzione, ma lo deve fare perché è il proprio lavoro. È così, non è tutto rose e fiori. Però diciamo che ho avuto la fortuna di cominciare questo percorso presto e di riuscire a farlo sempre per tutta la vita, almeno sinora, con una bella continuità e con tante soddisfazioni”.

Quali sono gli spettacoli che ama realizzare?

Io sono nata professionalmente con la passione enorme per la tragedia greca in particolare, anche perché facendo il liceo classico, mi piaceva il greco, io proprio adoravo questi personaggi eroici, tragici. Infatti, quando ho fatto il provino di ammissione all’Accademia Silvio D’Amico, ho portato ‘Antigone’ di Sofocle, con coraggio e faccia tosta, però sono stata premiata perché sono stata ammessa in Accademia. Adesso, per esempio, mi piacerebbe tantissimo interpretare l’‘Alcesti’. Ne ho fatti nel mio percorso professionale di questi personaggi tragici, come ho interpretato alcuni testi drammatici contemporanei, però diciamo che soprattutto negli ultimi dieci, dodici anni mi è capitato molto più spesso di interpretare un repertorio brillante. Questo perché nel mio percorso mi sono trovata a collaborare quasi esclusivamente con il teatro privato e il teatro privato talvolta è sovvenzionato, talvolta no, e in ogni caso deve contare soprattutto sulle proprie forze e cioè sull’incasso che ottiene dal pubblico e il pubblico più spesso gradisce gli spettacoli comici, brillanti. Quindi, per una serie di circostanze, io mi sono trovata appunto ad interpretare più spesso commedie e devo dire che è anche una grande soddisfazione quella di far ridere la gente, cioè, vedere che la gente si diverte, è contenta, è allegra, quindi mi piace molto anche questa parte del mio lavoro. Ho alternato anche in questi dieci anni di cui parlavo, sempre interpretazioni di commedie contemporanee all’interpretazione di classici, in particolare, le commedie di Goldoni. Di queste ne ho interpretate parecchie, soprattutto, quella che faccio oramai da tredici anni addirittura, ‘La locandiera’ di Goldoni, che riprenderò anche per le feste di Capodanno e poi a gennaio a Torino, al Teatro Erba, con qualche data anche per il Piemonte. Questo è un allestimento molto fortunato della ‘Locandiera’, perché appunto abbiamo debuttato quasi tredici anni fa e continuiamo a riproporlo quasi tutti gli anni con grande successo. È molto bello, ci sono le scene di Emanuele Luzzati, ci sono dei bellissimi costumi. Siamo in dieci in scena, è ‘La locandiera’ fatta con tutti i crismi”.

Secondo lei cosa di Goldoni conquista il pubblico?

Io vedo che piace molto, anche perché, se qualcuno magari non lo conosce ancora e però viene a vederlo, scopre che è molto divertente, al di là del valore di scrittura, di come sono ben tratteggiati i personaggi, è anche proprio divertente, soprattutto nella ‘Locandiera’ lo è molto. Nella scorsa stagione, e lo riprenderò anche per un periodo nel mese di febbraio, ho fatto un Goldoni molto meno conosciuto che è ‘La finta ammalata’ che, rispetto alla ‘Locandiera’, è precedente, all’inizio della riforma goldoniana. Ci sono ancora delle maschere all’interno della commedia, è un pochino più farsesca e fa morir dal ridere. La versione che sto portando in giro io, è con Franco Oppini e Roberto D’Alessandro, che sono due comicissimi. La gente viene e scopre che si può divertire molto a vedere un classico nel caso di Goldoni. Poi, ovviamente ce ne sono altre che io ho anche interpretato nel passato, tipo la ‘Pamela’. Goldoni ha scritto ‘Pamela nubile’ e ‘Pamela maritata’. Noi avevamo fatto la ‘Pamela’, che è un testo adattato da Guido Davico Bonino che univa insieme la ‘Pamela nubile’ e la ‘Pamela maritata’, quello anche ha dei personaggi più divertenti, però, è elegante, vedi un po’ di più un classico, è meno comico indubbiamente, dipende anche da quale Goldoni uno propone. ‘La locandiera’, io credo che a tutt’oggi, fa molto ridere”.

In questo momento è in tournée con “C’è un cadavere in giardino” che è stato a Roma, a Torino, poi sarà ad Ostia, Milano, Modena, solo per citare alcune tappe, qual è l’accoglienza del pubblico rispetto a questo spettacolo e quali sono i suoi punti di forza?

La forza di questo testo parte dall’autore che è un grande commediografo canadese, Norm Foster, che è un signore adesso di 74 anni, definito il Neil Simon canadese, un commediografo molto stimato a livello mondiale. Questa commedia che lui ha scritto è molto simile alla pochade, anche se però è ambientata ai giorni nostri, ha i classici meccanismi di comicità di situazione e quindi con personaggi che entrano ed escono, porte che si aprono e si chiudono, campanelli, telefoni, i quali fanno parte a loro volta proprio della partitura, dello spartito, quasi musicale, dello spettacolo: così come le battute anche le porte e i campanelli, tutto deve essere con dei ritmi molto precisi e serrati. Quindi c’è la comicità innanzitutto di situazione in questo testo e poi ci sono anche le battute divertenti, in qualche caso anche battute aggiunte in fase di allestimento dal regista. È uno spettacolo scritto molto bene, molto divertente, mi permetto di dire molto ben recitato, perché al di là di me stessa e di Sergio Muniz, che è un personaggio molto noto, ma che ha avuto anche oltre alle cose per cui è più noto una lunga esperienza come attore di teatro negli ultimi dieci anni e quindi si è consolidato come attore brillante molto efficace, abbiamo in scena altri quattro attori che sono tutti bravissimi, Maria Cristina Gionta, Luca Negroni, Giuseppe Renzo e Valentina Maselli. Sono personaggi già ben tratteggiati dall’autore, ma che loro interpretano veramente bene, con grande forza ognuno e per me questa è una cosa molto importante. Adesso che in questo punto del mio percorso posso anche permettermi delle scelte, nel senso di decidere se uno spettacolo farlo o non farlo e talvolta anche di quale testo fare e con chi, per me è fondamentale avere dei colleghi che siano attori tutti molto validi, io penso che questa sia una cosa molto importante. Ho visto sia in passato sia anche adesso che, talvolta, qualcuno, considerandosi lui stesso già un personaggio sufficientemente valido, o per bravura o per fama, si circonda, addirittura preferisce circondarsi, di colleghi non particolarmente validi. Invece, secondo me, questa è un’operazione controproducente. Io ci tengo tanto ad avere un ensemble di persone di valore sia artisticamente sia, ove possibile, umanamente, perché poi, vivendo in una compagnia come fosse una famiglia, è molto importante anche che siano umanamente persone con cui si può lavorare bene, si può fare bene. A Roma abbiamo fatto tre settimane con il teatro pieno e con un altissimo gradimento da parte del pubblico, anche come risultato di incasso. Adesso il teatro, e sicuramente altre realtà, ma io so del teatro, ancora si sta riprendendo dal periodo Covid, non è che siamo tornati ai numeri di prima. Per esempio, prima c’erano tantissimi abbonati nei teatri, adesso non è così, sono calati tanto, e noi per fortuna con il nostro spettacolo abbiamo ottenuto dei bei risultati, perché abbiamo avuto tantissimo sbigliettamento, che era una cosa che una volta si usava e che negli ultimi dieci anni si è andata sempre più perdendo, perché ormai i teatri facevano affidamento quasi esclusivamente sugli abbonamenti. Per noi è una grande soddisfazione quando la persona dice: io stasera vado a vedere ‘C’è un cadavere in giardino’. Piglia, va, compra il biglietto intero e viene ad assistere allo spettacolo – questo non accadeva più da tanto tempo e il fatto che adesso stia accadendo, immagino anche in altri teatri, in altre situazioni, noi l’abbiamo visto adesso, al teatro Manzoni a Roma, per tre settimane (dal 5 al 22 ottobre, ndr) – è stata una grande soddisfazione, sia perché è un segnale di interesse per il teatro, sia per noi in particolare perché abbiamo avuto una buona affluenza di pubblico”.

Qual è il filo conduttore della rassegna al Teatro Manzoni di Roma “In altre parole” (in cartellone da ottobre 2023 a gennaio 2024) che cura assieme a Pino Tierno, con la collaborazione artistica di Ferdinando Ceriani?

Questa rassegna è alla sua diciottesima edizione per l’idea di Pino Tierno, che è traduttore, autore e agente di autori teatrali stranieri in Italia. Lui l’ha fatta nascere perché all’epoca gli serviva avere un canale di presentazione e promozione dei testi nuovi che lui voleva proporre in Italia. Adesso ovviamente ha lui o io i contatti diretti con attori, produttori, registi, quindi potremmo direttamente mandare un testo e dire: ti interessa metterlo in scena? Però questa rassegna, in questi diciotto anni, ha assunto un bel prestigio, una bella notorietà, per cui attori, anche molto di nome, partecipano volentieri. Vengono presentati testi di diversi paesi. Quest’anno abbiamo il Québec, la Slovacchia, l’Austria, l’Olanda, due testi spagnoli – uno castigliano e l’altro catalano -, poi c’è Israele e un testo che è franco-italiano, perché è tratto da un romanzo francese ed è scritto da Pino Tierno come adattamento italiano, ed è l’unico caso misto, gli altri sono in rappresentanza delle varie nazioni. Noi facciamo questa rassegna in collaborazione con le Ambasciate, gli Istituti di cultura, le Delegazioni delle diverse nazioni che sostengono e promuovono ‘In altre parole’ proprio al fine di far conoscere in Italia, sia agli addetti ai lavori sia al pubblico, dei testi di autori stranieri che in Italia sono ancora poco conosciuti. In particolare, il prossimo appuntamento sarà l’8 novembre alle 17.30. Viene presentato un testo slovacco di Viliam Klimáček che in Slovacchia è l’autore teatrale in cui credono maggiormente. Questo testo, ‘Barbie cerca Ken’, verrà letto da Benedicta Boccoli e Roberto Ciufoli. Poi l’appuntamento immediatamente successivo mi coinvolge ancora di più, perché sono io a leggere insieme con Francesco Montanari. È un testo austriaco di Daniel Kehlmann che s’intitola ‘Vigilia’ che, secondo me, è un testo meraviglioso che io vorrei proprio poi, non so se nella prossima stagione teatrale o in quell’altra ancora, proporre come spettacolo vero e proprio, perché lo trovo veramente molto coinvolgente. È drammatico questo, non è comico”.

Qual è il tema di “Vigilia”, l’attesa?

Effettivamente l’attesa c’è, perché è un interrogatorio che probabilmente un agente segreto, un ispettore di polizia, non è specificato che quest’uomo sia un poliziotto o un agente segreto, meglio è probabile faccia parte dei servizi segreti, fa un interrogatorio a una donna che lui sospetta essere tra gli organizzatori, o addirittura proprio lei l’organizzatrice di un attentato che è stato annunciato. Deve esplodere una bomba a mezzanotte della Vigilia di Natale e quindi addirittura – perciò dicevo che l’attesa è proprio giusta come chiave di lettura – il sottotitolo è ‘Dramma per due attori e un orologio’ perché c’è un orologio che sempre più si avvicina alla mezzanotte durante l’interrogatorio e quest’uomo che fa l’interrogatorio deve riuscire a venire a capo di questo attentato per cercare di sventarlo e la donna ovviamente oppone resistenza a rivelare la realtà. Quindi c’è una tensione crescente, è molto incalzante, molto coinvolgente e io lo leggerò tutto con Francesco Montanari, che è un attore molto noto perché ha fatto il Libanese di ‘Romanzo Criminale’ e lavora molto nelle fiction, oltre che in teatro ed è molto bravo. Io vorrei lavorare nell’ottica di metterlo poi in scena, anche se appunto è un testo molto coinvolgente, non è comico e quindi in questo caso dovrò trovare dei canali di distribuzione forse un po’ diversi da quelli miei consueti, però intanto lo proponiamo nell’ambito di ‘In altre parole’. Quindi il filo conduttore di ‘In altre parole’ è questo, è la novità, è la proposta di testi stranieri ancora non conosciuti in Italia e il coinvolgimento delle diverse nazioni che ci tengono a far conoscere anche in Italia degli autori che magari, come l’austriaco Daniel Kehlmann che propongo io, da loro è famosissimo sia come romanziere sia come drammaturgo. Poi l’appuntamento successivo sarà con Ettore Bassi e Antonello Fassari che leggono, invece, un testo olandese che è ‘A Sud (Due uomini e un’urna)’ di Ger Thijs, su un rapporto padre-figlio, anche questo molto interessante”.

Tra i suoi prossimi progetti, oltre a tanto teatro, ci saranno anche cinema e tv?

A me piacerebbe molto. Per adesso c’è un progetto particolare di un film che deve essere realizzato, è un cartone animato non per bambini, ma drammatico di guerra dove la protagonista femminile sarà disegnata su di me, che è una cosa che mi piace tantissimo come idea, e io farò ovviamente il doppiaggio di questo personaggio. In questo caso non sarò io a girare con la mia faccia, perché sarà appunto in animazione. Per il resto, progetti televisivi e cinematografici altri concreti non ne ho ancora, vediamo, mi piacerebbe. È chiaro che io sono molto immersa nella realtà teatrale e, quindi, quando uno è così tanto preso è difficile creare anche le occasioni per altre cose. In passato ho fatto parecchia fiction, soprattutto una lunga serialità che poi è quella in cui ho conosciuto Sergio Muniz sedici anni fa, quando abbiamo girato insieme per un anno una fiction per Rai2, ‘Terapia d’urgenza’. In passato quindi ne ho fatte, adesso veramente mi piacerebbe se ci fosse l’occasione di un personaggio interessante in una serie di un certo tipo d’interesse, però alle volte è difficile sposare i due percorsi. Per carità, ci sono esempi illustri che ci sono riusciti alla grande, però spesso i miei colleghi, magari sì fanno qualcosina, qualche fiction, però a me quello occasionale non è che interessi molto, cioè se mi capita il fatto veramente bello e interessante sì, perché il percorso che faccio in teatro è a un certo livello e se faccio qualcosa al cinema o in televisione deve essere allo stesso livello”.

Oltre ad essere attrice, ha mai firmato regie?

Sì, ho fatto alcune regie. Una con un attore, Andrea Beltramo, era la regia di un monologo di un testo di un autore vivente italiano, Roberto Mussapi. Siccome io avevo interpretato un monologo femminile di questo autore, veramente bravissimo, poi avevo letto questo monologo maschile, allora in questo caso ne ho fatto la regia ed era sul poeta François Villon. Poi ho fatto alcune altre regie, in questo caso, a compagnie di giovanissimi, appena diplomati al Liceo Germana Erba di Torino, formando una compagnia di giovani talenti usciti dal liceo. Con loro ho messo in scena ‘Romeo e Giulietta’, ‘Sogno di una notte di mezza estate’, entrambi di Shakespeare, un altro testo invece contemporaneo che era un musical. Ho fatto tre, quattro regie, adesso sono un po’ di anni che non le faccio. Ogni tanto dei colleghi mi dicono: ‘ma perché non fai tu la regia’. Può darsi che io ne rifaccia qualcuna in futuro, però in quest’ottica allora preferisco non recitare io perché, soprattutto facendo la protagonista, preferisco essere seguita da un regista dall’esterno, se invece prossimamente mi ributto nella regia, preferisco che gli interpreti siano altri”.

Lei insegna anche, vero?

Sì, ho insegnato parecchio in diverse realtà. Tantissimi anni fa insegnavo recitazione ai bambini dagli 8 ai 13 anni, poi ho insegnato in un corso di quelli finanziati dall’Unione europea attraverso le Regioni. Per esempio, ne ho fatto uno per la Regione Emilia-Romagna, che era un corso di doppiaggio, perché io faccio anche doppiaggio, faccio gli audiolibri; quindi, in quella occasione ho insegnato recitazione e doppiaggio. Ne ho fatto un altro per la Regione Lazio, dove insegnavo recitazione. Negli ultimi due anni sto collaborando con Art Factory, che è un’Accademia di doppiaggio dove ho insegnato dizione, recitazione e doppiaggio. Ho insegnato prima, appunto, per cinque-sei anni a Torino, al Liceo Germana Erba, l’unico liceo in Italia che è specializzato come liceo teatrale. Di questo liceo, c’è un’altra sezione, che è il liceo coreutico per i ballerini e un’altra sezione per il liceo artistico tradizionale, anche se è un po’ più rivolto verso la realizzazione delle scenografie, quindi sempre legato al mondo teatrale. Mentre di licei artistici e coreutici ce ne sono tanti altri in Italia, di liceo teatrale è rimasto l’unico questo di Torino; infatti, arrivano studenti da fuori e io lì ho insegnato, ero anche responsabile dell’Area teatrale ed è stata un’esperienza molto bella, molto impegnativa. A me piace tanto lavorare con i giovani, giovanissimi, perché ovviamente la loro energia e il loro entusiasmo sono contagiosi e una che fa come me questo lavoro da più di quarant’anni ritrova anche dei perché, delle motivazioni, dice ‘ecco perché mi era piaciuto tanto fare questo lavoro’, cioè grazie ai giovani si ritrova la motivazione, l’entusiasmo. Ho dovuto smettere l’insegnamento al liceo di Torino perché mi sono ritrasferita a Roma, quindi, non era fattibile garantire una continuità. Quello che posso fare stando lontano è andare di tanto in tanto a tenere delle masterclass”.

Il liceo teatrale di Torino è quello dedicato a sua madre?

Sì, infatti si chiama Germana Erba, perché Germana Erba era mia madre ed è lei che l’ha ideato e creato ormai almeno venticinque anni fa. Il primo che ha fatto nascere è il liceo coreutico e poi sono nate anche le sezioni artistico e teatrale. Quando è nato il teatrale io ho partecipato proprio alla pianificazione dei programmi ministeriali. Si chiamava Liceo Teatro Nuovo, perché all’epoca la sede era dentro al Teatro Nuovo di Torino, poi quando mia madre è morta le è stato intitolato; quindi, adesso si chiama Liceo Germana Erba e ha una nuova sede, che è sempre vicina al Parco del Valentino a Torino. È una sede molto bella, molto nuova, con tutte le aule per le varie materie, le aule con il parquet ovviamente per la danza e poi ha come teatro di appoggio, perché i giovani studenti possano avere il contatto con il palcoscenico, il Teatro Erba di Torino, che è proprio sulla stessa strada, sullo stesso Corso Moncalieri dove c’è la scuola”.

C’è un insegnamento di sua madre che lei fa suo quando si trova di fronte agli allievi?

Mia madre ha sempre adorato i giovani e l’insegnamento è quello di dare fiducia ad ognuno, perché io ho proprio visto che anche quelli che alle volte vengono considerati problematici nel momento in cui tu gli dai fiducia, gli dai una piccola responsabilità, tirano fuori il meglio e, quindi, io penso in generale che la fiducia alle persone sia importante, ai giovani in particolare”.

Un’ultima curiosità: ha una frase che ha pronunciato in uno spettacolo e che ha adoperato un po’ come suo stile di vita?

La prima che mi viene in mente è di Mirandolina de ‘La locandiera’: ‘e anche questa è fatta’. Lei lo dice dopo che ha fatto tutto l’inghippo con il cavaliere per dimostrare che anche quest’uomo poteva essere sedotto, lui che si dichiarava nemico delle donne. Dopo aver vinto questa sua battaglia con il cavaliere e aver dimostrato la forza delle donne, però vuole sistemare le cose e mantenere il suo onore e quindi sposare il cameriere Fabrizio, che è quello a cui l’aveva destinata in origine il padre. Cioè lei, dopo aver dimostrato che è una donna in grado di poter gestire da sola un’azienda, che è in grado di muoversi tra varie figure maschili senza mai cadere nelle braccia di qualcuno, decidendo lei che cosa vuole fare e che cosa non vuole fare, pur parlando di una donna del 1700, quando riesce a convincere Fabrizio che tutto questo casino che lei ha fatto prima non era nulla di male, che non c’era nulla di male sotto, e Fabrizio dice ‘certo che ti sposo’, dopo aver passato il momento di gelosia, di rifiuto, lei alla fine della commedia dice: ‘e anche questa è fatta’, nel senso che ogni cosa va affrontata con il massimo impegno nel momento in cui deve essere affrontata. Io sto imparando a non farmi prendere dall’ansia quando ho troppe cose da fare insieme come in questo periodo dove ho messo davvero tanta carne al fuoco e, di volta in volta, faccio con il massimo impegno e con la massima concentrazione quella di questo momento e poi: ‘anche questa è fatta’!”.

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