“Cipria”, il racconto delle donne italiane emancipate e libere degli anni ‘40

Scuotere il piumino o il pennello prima di applicarla dopo il fondotinta, per la riuscita perfetta del makeup: è la cipria, il cui solo nome richiama un mondo di corsetti e reggicalze. Oggi “Cipria” è il titolo da vedere al cinema per specchiarsi in tre esempi di donne emancipate e libere nella prima metà del Novecento. Grazie al lavoro dei cineasti Giovanni Piperno e Anna Villari, è stato recuperato un concorso che nella giuria del 1941 vantava i nomi di Cesare Zavattini e Vittorio De Sica ed invitava le donne a raccontarsi nelle loro vere storie di vita, trascurando la forma, perché al centro dovevano essere loro nella loro piena autenticità. Ci fu una partecipazione al di sopra delle aspettative per quello che avrebbe dovuto portare alla realizzazione di radioracconti e di un film per promuovere un prodotto cosmetico. Alla fine i tre racconti che vinsero ieri sono gli stessi che vengono proposti oggi per la loro carica di vitalità e forza di emancipazione femminile. Il film, che scoppiata la guerra non fu girato allora, arriva adesso al cinema, carico di suggestioni propositive, nel giorno della Festa della Donna, grazie alle immagini dei filmati del grande Archivio Luce e di Home Movies e a voci narranti partecipi come quella dell’attrice Lucia Mascino. Dopo essere stato presentato in anteprima al recente Torino Film Festival, “Cipria”, prodotto e distribuito da Luce Cinecittà, narra la straordinarietà di una realtà femminile fuori dagli schemi costruiti dalle società patriarcali. Dalle note di regia di Giovanni Piperno si apprende che “nel 2017 l’autrice Anna Villari (museologa, storica dell’arte, docente universitario, curatrice di progetti culturali ed espositivi, autrice e consulente di programmi e documentari per radio e televisione, collaboratrice di settimanali e riviste) sta compiendo una ricerca nell’archivio del grande pubblicitario italiano Dino Villani (un genio del marketing che per continuare la produzione della Motta oltre Natale inventò la Colomba Pasquale e ideò Miss Italia per pubblicizzare un dentifricio…) e scopre che uno dei tanti concorsi da lui realizzati è stato completamente dimenticato. Nel 1941 per promuovere una nuova cipria della Carlo Erba, della quale dirigeva il settore pubblicitario, Villani chiede la collaborazione del suo amico Zavattini. Come sappiamo Zavattini cercava/sognava un cinema che si occupasse delle storie delle persone delle quali nessuno si interessava mai: la gente del popolo, i poveri, le donne, i bambini. Il concorso può essere un’occasione: vengono invitate le acquirenti della cipria ‘Velveris velo di primavera’ a scrivere le loro vite così come le hanno veramente vissute ed inviarle al settimanale L’illustrazione del popolo, il settimanale illustrato de La Gazzetta del Popolo. Le più belle verranno pubblicate dal settimanale, alcune diventeranno dei radiodrammi, la storia vincitrice del concorso sarà il soggetto per un lungometraggio. Anna, dopo molte ricerche, trova alcune di queste storie pubblicate e mi propone di trasformarle in un film, ottanta anni dopo… Le storie pubblicate sono tutte lontane dallo stereotipo della donna del focolare. Queste sono tutte donne dinamiche: molte cercano i loro mariti o figli scomparsi all’estero per le guerre coloniali o per cercare un lavoro migliore; oppure scappano da padri o compagni crudeli e possessivi e tentano di rifarsi una vita altrove, talvolta con nuovi partner. Stringiamo il cerchio sulle storie che ci piacciono di più, quelle che ci sembrano (ahimé) ancora attuali per i temi che trattano, per poi constatare che sono le stesse che furono premiate all’epoca: la giuria era composta da intellettuali ed artisti così avanzati – tra gli altri Alba De Cespedes (scrittrice e poetessa), Vittorio De Sica (regista e attore), Luchino Visconti (sceneggiatore e regista), lo stesso Zavattini – che i racconti selezionati sono ancora moderni… E così con tutte e tutti i pazienti archivisti che si attivano per farci visionare i loro materiali dentro le nostre case, cominciamo a costruire un film di finzione di repertorio”.

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