Esistenze tra le crepe: Evelina Nazzari dà voce alle “Solitudini urbane”

Nulla è patinato, ma tutto è sgualcito come il cuscino di una notte insonne: sono vite ferite da una quotidianità greve, stanca e ingrata le 19 raccolte da Maria Evelina Buffa Nazzari nel libro “Solitudini urbane” (edito da Porto Seguro). Figlia d’arte – degli attori Amedeo Nazzari e Irene Genna -, attrice e fotografa, oltre che scrittrice, Evelina Nazzari conduce per mano il lettore tra le esistenze sgangherate che abitano un condominio. Sono uomini e donne che sono stati investiti da onde anomale e inaspettate che li hanno portati via dal percorso di vita agognato. Alcuni sono piegati e soccombono all’ineluttabilità, altri nel loro piccolo tentano il gesto eroico e tragico che però, fatalità, resta nell’ombra. La prosa del libro scorre leggera, a dispetto delle pagine difficili da digerire. Il lettore aspetta il chiarore dell’alba che non arriva mai, anzi, alla fine è investito anche dallo spettro del Covid. L’autrice ha detto che il libro è stato ispirato dall’esperienza vissuta in un condominio dove ha abitato per sette anni e che lo ha cominciato a scrivere prima della pandemia. Ci si potrebbe chiedere, allora, quanto questa visione cupa delle “solitudini urbane” sia stata influenzata dall’attuale emergenza sanitaria, ma andando a fondo delle 19 storie col loro intimo grigiore la domanda risulta superflua: il Covid ha solo alzato il lenzuolo dell’apparenza che copriva le nostre vite. Nelle grandi città come Roma, infatti, tante esistenze faticano ad emergere vivendo mortificate dal frastuono che media, social media e politica costruiscono attorno, con il loro can-can di promesse e riforme non curandosi dell’anima vera delle persone. Ecco, alle tante anime abbandonate, lasciate e tradite Evelina Nazzari dedica un libro, levando la loro voce dal silenzio in cui vuote trombe le costringono a marcire.

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