Giorgia Serrao, una vita dedita totalmente al palcoscenico

Interprete e aiuto regista in “Aminta” di Torquato Tasso, spettacolo diretto da Sergio Basile che dal 9 al 14 novembre sarà in scena al Teatro Trastevere di Roma: come si divide? “Mi divido a fatica (sorride, ndr). Devo dire che Sergio è un regista molto bravo e molto esperto ed è quindi molto semplice seguire le sue indicazioni e supportarlo. Lo ascolto molto. Lui è molto preciso: mi bastano un buon orecchio e l’aver voglia di imparare dai suoi consigli”. Nata a Roma l’11 settembre del 1986, Giorgia Serrao dimostra il suo interesse per il teatro sin da bambina ed inizia i suoi studi di recitazione all’età di quattordici anni, lavorando anche molto sul corpo attraverso la danza classica ed il pattinaggio artistico. Negli anni approfondisce lo studio della recitazione grazie a maestri come Luca Ronconi e lo stesso Sergio Basile, diventando a sua volta insegnante di dizione e recitazione.

Giorgia Serrao, la parola chiave sembra essere per lei “imparare”: ha studiato con Sergio Basile ed ora lui continua ad essere il suo maestro anche lavorando fianco a fianco?

Assolutamente sì. È un grande onore poter lavorare con Sergio, lui ha una carriera che parla da sola, un’esperienza che comincia dalla ‘Bottega Teatrale’ di Firenze diretta da Vittorio Gassman e Giorgio Albertazzi, ha calcato i palcoscenici più grandi d’Italia ed in più è un grandissimo amante del verso. Avere la fortuna di lavorare con lui significa studiare costantemente, si apprende da ogni indicazione che dà. Io penso che l’attore non smetta mai di studiare, nel momento in cui si smette di studiare c’è un problema, vuol dire che non si ha più voglia di fare questo mestiere. Avere la fortuna di lavorare con lui è continuare ad imparare ogni giorno”.

Come è nata la scelta di portare in scena “Aminta”?

È un testo a cui Sergio è molto legato. La fortuna è avere la possibilità di lavorare con lui sul verso e di fare uno studio particolare, perché l’ ’Aminta’ che portiamo in scena non è la rappresentazione classica, ma ha l’ambientazione in manicomio, a Sant’Anna, proprio dove lo stesso Tasso venne rinchiuso per diversi anni (dal 1579 al 1586, ndr). Sarà lo stesso Tasso ad essere rappresentato all’interno dell’opera, sarà, infatti, lui stesso a dare agli altri pazzi all’interno del manicomio i ruoli dell’ ‘Aminta’, quindi a una darà il ruolo di Silvia, a una di Dafne, lui stesso si darà il ruolo di Tirsi e darà il ruolo di Aminta ad un altro, quindi diciamo che è uno spettacolo che va a riprendere l’ ‘Aminta’, rispettando il verso e il significato del verso che è una cosa fondamentale, ma andando anche a raccontare altro, quindi cosa erano i carceri, come si stava in manicomio e quello che avveniva all’interno, quindi anche questa brutalità, cattiveria, il perdere totalmente quella che è la dimensione umana della persona. Ci sarà la direttrice di questo manicomio, che è un personaggio che ha inserito Sergio, che è un personaggio molto forte, molto duro, quasi sadico. C’è la presenza di un infermiere che stuprerà Silvia, cosa che si racconta all’interno dell’ ‘Aminta’ parlando di un satiro che va a stuprare la ninfa Silvia all’interno del bosco. È un riprendere l’ ‘Aminta’ e portarla in una realtà più dura”.

Facendo soltanto un nome, Erving Goffman, rispetto alla violenza perpetrata talvolta all’interno di questi istituti, quanto questa rappresentazione dell’ “Aminta” pone l’accento sulla storia del Tasso e quanto invece si fa voce di una sensibilizzazione al problema dello stigma e alla vita delle persone che hanno disturbi mentali?

Va ad unire entrambe le cose. Non vuole assolutamente essere uno spettacolo di denuncia, non ci sentiamo in grado di rappresentare una cosa del genere, però vuole far riflettere, perché ci sono delle realtà che abbiamo visto succedere da poco all’interno delle carceri, in merito a violenze e abusi. Noi portiamo un’opera pastorale in queste realtà, togliendole la leggerezza e mettendola in un contesto realmente avvenuto, perché il Tasso venne rinchiuso in manicomio. Porre l’accento su questa dimensione aiuta ad avere una riflessione su come il verso, pur rispettandone il significato, possa essere guidato verso un significato più duro, più forte”.

Quale personaggio interpreta?

Io sono Dafne. Mi sarebbe tanto piaciuto fare Silvia, ma purtroppo sono fuori età. Silvia la farà mia sorella, Arianna Serrao, anche lei attrice, si è diplomata l’anno scorso al Centro Sperimentale. Lavorare insieme è sicuramente stimolante e difficile. Il personaggio di Dafne è molto bello, lei rimpiange l’età che passa, il fatto di essere non più giovane quanto vorrebbe essere, lavora costantemente alla ricerca delle attenzioni degli altri, è in cerca dell’amore. Per quanto riguarda Silvia è un personaggio più fresco, la ritrosa, viene definita molte volte come ‘ritrosetta’, per questa sua non capacità di lasciarsi andare, il non saper accogliere l’amore, questo desiderio di Aminta di avvicinarsi, Aminta che è il puro che vuole avvicinarsi a Silvia che lo sfugge. Dafne è l’amica che tenta di dirle di lasciarsi andare, di lasciarsi vivere da qualcuno. Tutto questo è molto bello riportato all’interno di una realtà manicomiale, perché è rappresentato con gli eccessi e con la singola patologia di ogni personaggio che verrà descritta dalla direttrice ogni volta andando a spiegare i problemi di questi malati che però lei li descriverà con una sorta di sadismo, come se lei godesse di queste situazioni che avvengono e come se fosse lei a controllare il tutto e un minimo a decidere cosa ve bene fare e cosa no. Fino a quando si arriverà ad uno dei momenti sicuramente più forti dello spettacolo che è lo stupro del satiro nei confronti di Silvia e questo stupro avviene ad opera dell’infermiere. Rispettando assolutamente sia le parole che i versi del Tasso si arriva ad avere una scena molto cruenta”.

Quindi è un lavoro molto attento alla psicologia dei personaggi visti i temi affrontati?

Da un lavoro iniziale di Sergio, siamo andati a lavorare singolarmente sui personaggi. È molto difficile quando si parla di malattia mentale non cadere negli stereotipi. Il lavoro è stato molto sottile, tentando di far sì che le parole ci aiutassero ad entrare nel personaggio: sembra difficile da credere che Tasso abbia scritto qualcosa che dà quel tipo di possibilità. La forza della regia di Sergio è l’essere in grado di trovare attraverso i versi la descrizione di questi personaggi, una cosa fortissima, perché sembra che le parole che pronunciano questi personaggi vadano a sottolineare la loro patologia, in particolare quella delle donne. Il fatto che Silvia sia così ritrosa, che scappi, che non abbia voglia di accogliere e invece Dafne è l’opposto, questo desiderio costante di avere attenzioni, questo tempo che passa su di lei che non è più giovane e fresca è molto forte. Aminta è totalmente perso. L’unica figura leggermente al di fuori di questo tipo di schema tra i quattro malati è Tirsi che è il Tasso perché è quello più lucido, come se fosse il burattinaio all’interno di questa situazione, va a manovrare direttamente i tre malati per ottenere quello che lui vuole, che è rappresentare il suo dramma pastorale”.

Com’è approcciare sua sorella più piccola nelle sue vesti di aiuto regista, oltre al fatto di recitare insieme?

Non è stato semplicissimo, ma è una cosa che viene da tanti anni. Temo che se Arianna abbia scelto di fare questo mestiere sia colpa mia, perché io ho la passione per questo lavoro, che poi non è un lavoro ma è totale dedizione. Il mio sogno più grande è sempre stato di fare la Medea all’Anfiteatro greco di Siracusa. Da sempre sono innamorata dei testi classici e Medea mi piaceva per il tipo di sonorità delle parole e per la difficoltà del personaggio. Io piccolina bionda con gli occhi azzurri e, di contro, l’immagine di questa donna potente e barbara era affascinantissima per me e lo è tuttora. Mettevo seduta mia sorella in salotto e facevo i pezzi di Medea. Da lì temo di aver rovinata mia sorella definitivamente: è nato il suo amore per questo mestiere. Quando ha detto di voler iniziare a provare per le varie Accademie, io già insegnavo e l’ho prima scoraggiata e poi ho iniziato ad aiutarla. Le prime lezioni le ha fatte con me, poi l’ho guidata verso altri insegnanti. Questo tipo di rapporto con me ‘maestrina’ c’è sempre stato un po’ tra di noi. Ora è cambiato. Lei è diventata grande, ha fatto il suo percorso, ha fatto il Centro Sperimentale, sta lavorando ed è una bravissima attrice. Quindi è stato abbastanza semplice in questo senso. Poi io purtroppo ‘maestrina’ ci sono di mio, me lo dicono spesso”.

Il suo giorno di nascita è l’11 settembre, che è una data che tutti ricordiamo. Come vive ciò?

Mio papà lavorava in Alitalia, quindi nel momento in cui ci fu quel problema lui era al lavoro ed io ero terrorizzata che dovesse partire per qualche motivo, fu una giornataccia quella sia per quello che era successo sia per questa paura irrazionale per il mio papà. Ormai convivo con quella tragedia e la battuta che mi aspetto, che mi viene fatta tutti gli anni, è ‘il tuo compleanno è difficile non ricordarlo!’, una frase che ormai è parte di me”.

È molto solare, qual è il suo motto?

Un motto che mi sono sempre portata dietro e che continuo a tener saldo è che ‘l’importante nella vita è innanzitutto fare quello che uno ama, ma farlo con la testa, con coscienza e con formazione’. Io credo tanto nello studio, credo tanto che per fare un qualsiasi tipo di mestiere bisogna darsi totalmente ed essere competenti. Questo è quello che io cerco di fare, che professo e che porto avanti. Lo spettacolo è prodotto da Ars 29 che è l’associazione che abbiamo aperto io e mio marito che è Massimiliano Auci che interpreta Tirsi. All’interno dello spettacolo ci sono poi quelli che sono anche insegnanti della scuola. A parte Arianna e Andrei Costantino Cuciuc che sono i più piccolini che invece escono dal Centro Sperimentale, ci sono Massimiliano Auci, Giovanna Cappuccio e Riccardo Parravicini che sono insegnanti della scuola che abbiamo aperto a Fiumicino. Io e mio marito siamo i titolari, Giovanna è nostra socia dell’associazione. Da lì abbiamo deciso che però volevamo creare quello che fosse un polo d’arte e quindi fare produzioni. Da lì nasce Ars 29, tutto quanto nasce da questo desiderio di portare arte, di fare arte, lavori fatti bene e di far vedere che si possono fare cose di qualità facendo piano piano, come la formichina, per poi ottenere grandi risultati, almeno è quello che speriamo”.

Come mai la scelta del nome Ars 29?

Tutto nasce dal desiderio enorme di trovare un nome che funzionasse. Avevamo consultato anche un esperto. Poi io e mio marito abbiamo pensato dov’è la scuola, cioè in via Arsia 29 C, allora quella Arsia, Ars, arte è stato immediato, mentre il 29 è stato un colpo di fulmine dato dal fatto che Massimiliano aveva appena fatto 29 anni, 9 più 2 undici che è il giorno del mio compleanno, quindi abbiamo detto ‘funziona: sarà immediato per chi ci cerca e ha un secondo significato per noi’!”.

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