“Amare Amaro”: empietà e pietas oggi

È dichiaratamente ispirato alla tragedia di Sofocle “Antigone” il film “Amare Amaro” (durata 90′) di Julien Paolini (al suo primo lungometraggio), che approderà il 14 febbraio su Prime Video, distribuito da 102 Distribution, girato in provincia di Palermo (a Belmonte Mezzagno, Terrasini, Balestrate, Carini e Cinisi). Ma l’opulenta Tebe greca non è la misera Sicilia di oggi fotografata nel film; a reclamare il corpo del fratello Giosuè – la cui empietà è poco paragonabile a quella di Polinice – non è una donna, Antigone, ma un uomo, Gaetano; e l’intransigenza del divieto alla sepoltura del re Creonte è impersonata da un sindaco donna il cui agire è fuorilegge. Della pagina greca resta, però, la vera e unica protagonista di entrambi i racconti: quella pietas anelata che quanto più è respinta tanto più grida la sua forza e potenza. In questo contesto la nota autobiografica del regista (autore anche della sceneggiatura assieme a Samy Barroun) inserita nel film, cioè il suo essere franco-italiano come Gaetano (Syrus Shahidi) che deve rapportarsi col sospetto dei compaesani siciliani puri, cerca di dare un po’ più di senso a un diniego alla sepoltura del fratello Giosuè che è di per sé fragile. Anzi, questo rifiuto si trasforma quasi in un accanimento ingiustificato come se fosse in atto un braccio di ferro in cui uno dei due giocatori costringe l’altro alla partita: solo che quest’ultimo è spinto da umanità, l’altro da una disumanità poco spiegabile. Il film, una produzione franco-italiana, vanta la partecipazione al Taormina FilmFest e la vittoria del Grand Prix come miglior film poliziesco al Festival Polar de Cognac. Il riconoscimento nel genere poliziesco presupporrebbe indagini nella trama, ma qui sono del tutto assenti, quindi risulta un premio un po’ fuorviante. Due i volti popolari di questo genere, Ciro Petrone (che lo ricordiamo soprattutto per “Gomorra” di Matteo Garrone) e Tony Sperandeo (tra l’altro, migliore attore non protagonista ai David di Donatello 2001 per il ruolo di Gaetano Badalamenti nel film “I cento passi”) che anche qui non interpreta un buono pur indossando la divisa da Maresciallo dei Carabinieri. Sorprende, poi, la presenza “cantata” della bellissima poesia del poeta napoletano Salvatore Di Giacomo, “Pianefforte ‘e notte”: cosa vuole rappresentare? L’attesa? Forse, la speranza? Per caso, un’umanità che prima o poi si metterà in ascolto? La risposta non è di immediata comprensione. Un’ultima nota, ma è una domanda in realtà: il rapporto che il sindaco donna ha con la figlia su quali basi si fonda? Superati, forse, questi nodi il film avrebbe potuto emozionare e creare empatia maggiore col suo pubblico; se non altro è però inconfutabile il fatto che faccia tanto riflettere sull’umanità di oggi.

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