Cyro Rossi: “Amo essere scomodo”

Provo la stessa identica repulsione ogni volta che lo vedo, forse perché la ferita aperta da ciò che narra fa troppo male, forse perché col testo e col linguaggio cinematografico arriva come una lancia che si gira e rigira nella lacerazione della carne. Parlo del cortometraggio “Sono io”, scritto e diretto da Cyro Rossi (fiorentino, classe 1977), che dà voce e volto al Covid 19, il virus che non guarda in faccia nessuno, che sta sconvolgendo le nostre esistenze e i nostri equilibri già di per sé precari, quali esseri umani che cercano di essere inutilmente “Faber suae quisque fortunae” (“Ciascuno artefice della propria sorte”). Si passano il testimone, prestando a questo nemico inafferrabile e invisibile la propria espressione, tantissimi bravi attori – Dan Booth, Jun Ichkawa, Notsa Mao Kevin, Walter Nestola, Roberta Procida, Penelope Flamma, Fabrizio Pinzauti, Gabriel napoleone, Tommaso Rossi, Anna Piscopo, Carolina Signore, Francesco Paolo Amoroso, Giada Benedetti, Kaya Kushna, Sara Salgado, oltre allo stesso Cyro Rossi -, che aggiungono pregio a un lavoro dal sapore “quasi neorealista” (come si legge nella nota stampa) che ti squarcia dentro, e già vincitore di molti riconoscimenti, risultando ad esempio il Miglior corto sperimentale all’International Short Film Festival di Mosca.

Cyro, non pensi sia un punto di vista un po’ scomodo quello che proponi nel corto “Sono io”?

Un po’ scomodo per chi?

Per chi lo guarda: è un invito a riflettere, a mettersi allo specchio senza filtri che addolciscano una situazione già triste di per sé.

Amo essere scomodo, amo mandare messaggi scomodi. Siamo un po’ troppo comodi e viziati. La scomodità a volte ci fa conoscere altre cose, scoprire altre cose, pensare, riflettere“.

Quindi abbiamo bisogno di qualcosa di pungente che ci scuota anche durante questa epidemia mondiale?

Non lo so di cosa abbiamo bisogno, se ricominciamo un attimo minimamente a contattarci ed ascoltare e ascoltarci di più, forse possiamo trovare qualcosa di buono“.

Nel corto abbracci molte lingue e volti in un ideale giro del mondo, il tuo è un lavoro che vuole parlare a tutta l’umanità?

È in più lingue perché visto che è una cosa che ha toccato tre quarti del globo terrestre pensavo che riguardasse tutta l’umanità. È in più lingue, ma anche nei dialetti di paesini pugliesi o siciliani, questo a rimarcare l’importanza di trovare le proprie radici, la propria intimità, il mettersi a nudo ognuno nella propria lingua. Le radici sono importanti“.

Il corto ha ricevuto un’accoglienza entusiasta, ora a cosa stai volgendo il tuo sguardo?

Il mio sguardo è all’orizzonte“.

Ok, cosa stai facendo adesso?

Adesso sto prendendo un caffè, ma forse tu volevi chiedermi un’altra cosa. Che stai progettando, preparando?

Certo.

Sto preparando un lungometraggio. Sto scrivendo. Io faccio boxe e vorrei raccontare in un film la storia di una ragazza che si allena. Poi mi hanno contattato per girare un’altra cosa, un’altra storia, sto valutando e vediamo, dai. Poi ho un altro progettino come attore…, più cosette diverse“.

Di film in film, mi racconti che ruolo interpreti ne “Il talento del calabrone” di Giacomo Cimini, visibile su Amazon Prime Video?

Guarda, con dispiacere mi hanno tagliato tutte le scene finali. Il regista mi ha scritto, gentilissimo, mi ha detto: ‘Guarda abbiamo dovuto tagliare in postproduzione’. Giacomo Cimini è carinissimo. Io interpretavo il marito di Anna Foglietta, con questa bambina, nostra figlia, che poi l’ho riutilizzata nel cortometraggio ‘Sono io’, molto brava, molto spigliata. Mi si vede poco nel film, perché poi tutte le scene finali dove c’è un dialogo tra me e Anna Foglietta e la bambina sono state tagliate. In postproduzione è così, capita purtroppo. Però è stata una bellissima esperienza. Sono contento. Lavorare con Anna è stato molto piacevole perché è una grande professionista. È stato un bel set“.

Sembri una persona tutta d’un pezzo, che sa cosa vuole e dove vuole arrivare.

Tutta d’un pezzo è tipo tronco, mi dà l’immagine di una persona un po’ fredda“.

Hai un motto, una massima?

Ah, dici una perla… ‘Non è una questione di soldi ma una questione di stile’ mi piaceva molto, oppure ‘Vivi e lascia vivere’ che per me è importante, non so se hai visto gli altri miei lavori di regia, come ‘Buscjie’ (sull’uso del corpo femminile, ndr), ‘Binario 4’ (sui bambini scomparsi, ndr) e ‘Arrubiu’ (un incontro tra arte e natura, ndr), tratto tutte tematiche sociali, problematiche, quello che mi affascina molto è questo. Quindi ‘Vivi e lascia vivere’ per me è molto importante, è molto importante la libertà di pensiero, quindi l’espressione per poter raccontare“.

You May Also Like

Passaparola: “Io sono un po’ matto. E tu?”

“Juniper-Un bicchiere di gin”, la convivenza impossibile tra una nonna e un nipote stregherà il pubblico

La lezione di resilienza di Antonietta De Lillo

“Dadapolis”: artisti di Napoli a confronto sul nonsenso