“Quattro vite”, il ritratto cubista di una donna
La forza di una donna nel fango, forse solo così si potrebbe provare a sintetizzare il film francese “Quattro vite” (durata 112 minuti), di Arnaud des Pallières, che sarà distribuito in Italia da Movies Inspired. Lo vedi con attenzione per capire dove porta, non ha momenti di stanca, ti turba, sembra violento ma la protagonista non subisce mai: ha i connotati di una vittima ma è fiera, una sorta di eroina dotata di forte energia vitale in cerca dell’amore che riscalda in tutta la sua sessualità. Il personaggio è una sola donna in diverse fasi della vita e si rivela allo spettatore come una matriosca, dall’età più adulta a quella più piccola, ma ha quattro nomi: Renée (Adèle Haenel), Sandra (Adèle Exarchopoulos), Karine (Solène Rigot), Kiki (Vega Cuzytek). Sono l’una il fantasma dell’altra e producono una sorta di allucinazione. “Quattro vite” è “una specie di ritratto cubista“, afferma il regista Arnaud des Pallières che ha scritto il film a quattro mani con Christelle Berthevas. Si ha davanti una donna “di bassa estrazione, ignorante, senza soldi, senza potere di classe, senza potere professionale, che ha solo se stessa per andare avanti e con il suo viso, la sua voce, il suo sorriso, la sua grazia, il suo corpo, il suo potere di seduzione, trova un po’ di uguaglianza con uomini (e donne) già dotati di potere e preparati per la vita“.
“Nel 2010 – racconta il cineasta – ho chiesto a Christelle Berthevas, co-sceneggiatrice del mio film ‘Michael Kohlhaas’, se voleva raccontarmi la sua storia personale, che mi affascinava per due motivi. Per prima cosa, era la vita di una donna, ma di una donna di origini rurali e popolari, molto lontane dalle mie. Ero consapevole che non avevo ancora prestato ai personaggi femminili la stessa attenzione di quelli maschili. Volevo recuperare il ritardo disegnando un ritratto di donna il più ricco e complesso possibile. Per entrare nei panni di una donna, volevo iniziare da una vita reale, non da un romanzo o da un racconto, mettendomi sotto l’autorità e le sensibilità di chi aveva vissuto gli eventi. Faccio film per sperimentare vite diverse dalla mia. Sapevo quanto fosse stata crudele, cupa, eccessiva la prima parte della vita di questa donna e volevo raccontarla perché mi sembrava esemplare. Era la lotta di una donna per la sua libertà, e volevo viverla io stesso, per poi farla rivivere allo spettatore“. “Ho conservato per anni nel mio computer un file intitolato ‘Undici anni della mia vita’, una sorta di ripostiglio nel quale i testi si sono accumulati senza molta coerenza ma già con una consapevolezza formale, un primo ‘stile’. È da lì che ho pescato questa sorta di indagine della relazione padre-figlia“, sottolinea Christelle Berthevas che osserva sul progredire della vita: “Ogni essere è in grado di rilanciare i dadi della propria esistenza“.
“Un giorno, una donna è venuta a trovarmi dopo la proiezione del film. Raggiante, quasi con aria di sfida, mi ha detto: ‘Questo film mi rende felice e orgogliosa di essere una donna’. Anch’io sarei felice e orgoglioso di aver girato un film femminista“, dichiara Arnaud des Pallières. Ma sul tema Christelle Berthevas ribatte: “Il film è un’esplorazione, non la rivendicazione di qualcosa“.
A metà strada tra noir, melodramma e realismo, “Quattro vite” espone il movimento a ritroso di una donna di fronte alle sfide che le si presentano: è una bambina di campagna che cade in un tragico gioco a nascondino; un’adolescente che passa da una fuga all’altra e da un uomo all’altro perché tutto è meglio del triste ambiente famigliare; una giovane provinciale che si trasferisce a Parigi e sfiora la catastrofe; e una donna realizzata che si crede al sicuro dal suo passato. Sono quattro istanze di una vita.