Ci vuole un vero risorgimento per lo Spettacolo dal vivo: tuonano le parole di Tiziano Panici dell’Argot Studio di Roma

Sorrisi dopo l’ultimo incontro di alcuni operatori del settore dello Spettacolo col ministro dei Beni culturali Dario Franceschini; tanta speranza nelle parole della videoconferenza indetta dall’Agis il 30 aprile scorso; ma stamattina tuona la lettera di Tiziano Panici, alla Direzione artistica dell’Argot Studio di Roma, che parla di uno Spettacolo dal vivo che “in questi giorni sembra essere stato completamente dimenticato dal Governo”. Ricordando che “negli ultimi due mesi gli artisti e i lavoratori nel campo della conoscenza sono stati tra i primi a reagire positivamente e creativamente, incoraggiando le persone a stare in casa”, sottolinea che a dispetto di ciò “quando domenica 26 aprile 2020 il Presidente del Consiglio è tornato a parlare alla nazione per dettare le linee guida della famosa Fase 2” non ha speso alcuna parola per gli artisti. Scrive: “In molti tra i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo, attori e attrici ma anche scrittori e giornalisti, registi e operatori culturali hanno cercato di tenere vivo un dialogo e un dibattito politico, per mettere in risalto agli occhi di chi, in questo momento, è chiamato a fronteggiare una crisi senza precedenti, la difficoltà di un settore che non è stato mai normato in maniera adeguata, sempre scarsamente rappresentato dai sindacati o dalle organizzazioni di categoria, sempre vessato sul tema della contribuzione e dell’inquadramento del lavoratore come categoria riconosciuta, forma di impresa – individuale o collettiva – o semplice associazione culturale. E la politica ha puntualmente risposto con un silenzio inquietante: nel discorso del 26 aprile non una parola è stata spesa per citare la funzione del cinema, del teatro, della musica e delle arti performative tutte, nella società civile ed economica in cui tutti viviamo e che ora deve immaginare come ripartire”. Fa un piccolo “mea culpa”: “Sembra che chi lavora nell’impiego dello spettacolo – che sia pubblico o privato –  sia incapace di rappresentarsi, di prendersi adeguatamente cura di sé e di essere cooperativo per riuscire a trovare delle soluzioni. Chi opera nel settore culturale viene spesso dipinto come ingenuo sognatore incapace di incidere davvero sul tessuto produttivo della società”. Ma Panici vuole essere propositivo e guardare a nuovi orizzonti: “Il mio augurio per il futuro è che la politica sia in grado di tornare a dare il giusto peso alla cultura, alla formazione e alla conoscenza come valori fondamentali per la sopravvivenza dello Stato e della cosa pubblica, riconoscendo il valore economico e l’indotto reale che i comparti dello spettacolo rappresentano per il nostro paese. Questa economia non si regge solamente sul corpo della nostra eredità museale o del patrimonio artistico ma si nutre delle vite di migliaia di lavoratori che ogni giorno impegnano sé stessi affinché quel valore venga trasformato in una nuova forma viva e tangibile e come espressione dell’intelligenza, della bellezza e della sensibilità di un intero paese. Altrimenti, a tutti i cittadini che abitano il suolo italiano, non resterà che un cumulo di macerie su cui cercare di riedificare la propria identità e il proprio valore”. Ricorda l’epigrafe incisa sull’architrave del portico del Teatro Massimo di Palermo: “L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”.

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