“Facciamo un piccolo sacrificio oggi per riabbracciare chi amiamo domani”, così Alberto Malanchino, il dottor Gabriel della fiction “Doc. Nelle tue mani”

“In questo momento grigio in cui cerchiamo di farci forza a vicenda, è stato un regalo bellissimo aver tenuto compagnia a tanti telespettatori. Sono molto contento perché quando si parla di progetti di questo tipo è sempre un terno al lotto, c’è tantissima attesa per il responso del pubblico”, nonostante questa contingenza difficile, parla con la gioia dei suoi 28 anni Alberto Malanchino, felice del risultato di ascolti dell’esordio su Rai1 della fiction “Doc. Nelle tue mani“, una produzione Lux Vide e Rai Fiction che alla prima puntata ha conquistato il 26,1% di share e 7 milioni 172 mila telespettatori. Ispirata alla vera storia del dottor Pierdante Piccioni, la serie racconta del medico Andrea Fanti (interpretato da Luca Argentero) che, a causa di un trauma cerebrale, ha perso la memoria dei suoi ultimi dodici anni. In questa serie Alberto Malanchino è uno degli specializzandi del reparto di Medicina Interna.

Alberto, cosa ti ha colpito della storia di Pierdante Piccioni raccontata nei libri “Meno dodici” e “Pronto Soccorso” (editi da Mondadori)?

“La possibilità di ricominciare da zero, o meglio da un certo punto particolare della propria vita, una cosa che succederà pochissime volte nella casistica generale del mondo. Al di là del dramma personale con cui una persona deve convivere, c’è il punto privilegiato di mettersi nell’ottica di un paziente, un insegnamento che un medico si porta dietro per sempre. Noi abbiamo cercato un po’ di rendere omaggio al dottor Pierdante Piccioni con questa serie”.

“Doc. Nelle tue mani” è un medical drama, ti sei mai affezionato a una o più serie di questo filone?

“Io da ragazzino sono cresciuto con ‘Scrubs – Medici ai primi ferri’, serie molto brillante e divertente, e il ‘Dr. House’: sono molto affezionato ad entrambe per ricordi paralleli del periodo”.

Vuoi condividere qualche ricordo?

“È il periodo delle Superiori, con i primi amori, le uscite con gli amici, lo studio, la scuola, più che ricordi specifici sono serie legate a un momento particolare che è l’adolescenza”.

Nella fiction “Doc. Nelle tue mani” tu sei Gabriel, un perfezionista: ti assomiglia questo personaggio?

“Tendo ad essere molto scrupoloso per quello che riguarda il mio lavoro, quindi forse in questo c’è una grande similitudine. Certo, può essere la cosa che ci accomuna di più. Quando una persona ha a che fare con un personaggio inizia anche ad indagare delle zone in comune che può avere e cercare di svilupparle, e vedere poi dove questo percorso lo porta a un certo punto. Quindi questa mania per il lavoro è una cosa in cui mi riconosco”.

Gabriel salderà un debito con il passato, tu a teatro hai portato tra i primi lavori un monologo che ti ricollega alla terra materna, al Burkina Faso: quel lavoro, “Verso Sankara”, nasceva da un’esigenza simile?

“Sì, sono del Burkina Faso per parte di mamma ed è stato uno spettacolo nato dall’urgenza mia e del regista, Maurizio Schmidt, di mettere in scena il racconto di un ragazzo di seconda generazione che, ritornando nella sua terra d’origine, s’imbatte nella figura di Thomas Sankara che è stato un presidente del Burkina Faso, un grande panafricanista che ha completamente stravolto le sorti della nazione durante il periodo della sua Presidenza. Per me è stato un passaggio molto importante perché mancavo dal Burkina da 12 anni, quindi è stata la possibilità di tornare a riscoprire una parte della mia famiglia, una mia seconda casa”.

Correggimi se sbaglio, Thomas Sankara è stato ucciso nel 1987 e tu sei nato nel 1992, quindi hai ricostruito i ricordi della tua famiglia sul presidente?

“La figura di Thomas Sankara è conosciuta in tutto il continente africano. Io ci sono cresciuto con i ricordi dei miei genitori, in primis di mia madre perché viene da lì, e poi perché è una di quelle figure storiche di cui si parla sempre. Bisogna partire dal presupposto che gli eroi cambiano anche rispetto alle nazioni, Thomas Sankara viene studiato a scuola in Burkina Faso e tutti lo conoscono. Poi grazie a Internet c’è stata la possibilità di divulgare le interviste che ha fatto, i discorsi durante i convegni, e da lì è iniziata la mia ricerca, fino ad addentrarmi in quella che è stata la fortuna di parlare con la sua famiglia, con i suoi ex consiglieri e ministri, quindi un’esperienza privilegiata”.

Per te c’è un parallelo italiano come figura?

“Me lo sono chiesto più volte e onestamente non saprei, non vorrei fare dei parallelismi che non danno giustizia né a Sankara né alla figura italiana di riferimento. Penso comunque che ci si possa rivedere in tutte le persone che cercano di combattere per la giustizia sociale. Poi ovviamente stiamo parlando di persone incredibili, quasi leggendarie, fare dei parallelismi è davvero molto difficile”.

Della tua parte italica (il tuo papà è italiano), hai un modello di riferimento nel mondo della scienza, della letteratura o dell’arte?

“Ce ne sono diversi. Ho ad esempio una grande fascinazione per Dante Alighieri, è un amore che è nato tra i banchi di scuola durante le Superiori e me lo sono poi trascinato in Accademia, alla Paolo Grassi, dove ho avuto la possibilità proprio di studiarlo molto bene, quindi se dovessi dirne uno è lui, ma ce ne sono anche tanti altri. C’è Leonardo da Vinci, c’è Leopardi”.

C’è un passaggio della Divina Commedia che ti ha maggiormente stimolato l’immaginazione?

“Il Canto di Ulisse, il Canto XXVI dell’Inferno”.

Quindi il passaggio “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”?

“Sì, quello è uno dei miei preferiti”.

Nel tuo curriculum ci sono programmi come quello con Maurizio Crozza…

“È stata una parentesi felice durante l’Accademia. Nel senso che mi è capitato per un paio di volte di lavorare per Maurizio insieme ai suoi ragazzi ed è stata davvero una bellissima esperienza. Io venivo da ore e ore di prove, palcoscenico, teatro, ed essere catapultato così per tre giorni a fare solamente quello è stato molto formativo perché ti rendi conto che come tutti le professioni c’è il lato teorico ma poi c’è quello pratico che è proprio il lavoro”.

Quindi hai all’attivo programmi tv, diverse fiction (anche per Netflix) e tanto teatro: quali esperienze professionali ad oggi ti hanno maggiormente arricchito?

“A teatro mi ha arricchito molto il monologo ‘Verso Sankara’ e poi un po’ tutto, perché ogni volta in cui ti imbatti in un progetto nuovo hai la possibilità di rinascere, quindi di scoprire e riscoprire delle parti di te. Io mi sono legato molto a Silvio Peroni che è un regista bravissimo con cui ho fatto lo spettacolo ‘The Flick’, però ho avuto anche la fortuna di lavorare con Moni Ovadia che è stato veramente un grandissimo capocomico. E poi ci sono tutte le più piccole e più grandi possibilità che ho avuto in televisione, quindi da ‘La strada di casa’ (in cui è Bashir, ndr) a ‘Camera Café’ con Luca e Paolo, avendo la possibilità di vedere quali sono i loro tempi comici, come interagiscono tra loro. Questo è un mestiere che si ruba molto con gli occhi in realtà, quindi più hai la possibilità di fare e guardare, più cresci”.

Com’è nato l’incontro con Moni Ovadia?

“Con lui ho fatto ‘Il violinista sul tetto’, interpretavo un ragazzo che si chiama Fyedka e lì è stata una circostanza davvero fortuita perché Moni era venuto con sua moglie a vedermi a teatro dove stavo facendo un altro spettacolo. Mi vide in mezzo a un gruppo di attori, tutti miei amici, e giorni dopo il regista mi disse che c’era Moni che voleva propormi una cosa, si trattava di una sostituzione, accettai e da lì cominciò veramente un momento molto bello, la possibilità di lavorare con lui e un gruppo di musicisti e ballerini eccezionali e anche altri attori”.

Nella tua vita professionale c’è un Luca/Paolo?

“In realtà sono gli amici che ho da sempre, da quando sono un ragazzino, sono quelli che più di tutti capiscono i miei tempi comici, le mie pause, io capisco le loro battute, siamo rimasti veramente un gruppo molto affiatato”.

Tu sei nato a Cernusco sul Naviglio (Mi), immagino vivi a Milano, in questo tempo di emergenza sanitaria sei lì?

“In questo momento no, sono a Roma. Mi sono trasferito per un certo periodo di tempo qua per poter girare la serie, visto che poi è stato tutto molto veloce, frenetico, con dei repentini cambi di cose, ho preferito tenermi casa qua a Roma, poi si vedrà”.

Ti stai dedicando sempre ai tuoi sport – Karate shotokan, Judo e Boxe -?

“Avevo ripreso a fare boxe, purtroppo ora mi sono dovuto un attimo fermare, però sto cercando di allenarmi il più possibile a casa”.

Suoni ancora il basso elettrico?

“Quello è uno dei rimandi del periodo dell’adolescenza che mi è rimasto, diciamo che c’è sempre un buon motivo per suonare e quindi il basso è un compagno di avventure che mi porto dietro in ogni situazione, appena posso suono”.

In questo momento di sospensione a cosa ti dedichi? Stai leggendo nuovi copioni?

“In realtà sto scrivendo un soggetto, però è ancora tutto top secret. Poi sto suonando e cucino tanto. Amo cucinare, sto facendo tutte le ricette che non sono riuscito a fare in questi mesi perché dovevo mangiare velocemente per stare sul set”.

Quella che ti è riuscita meglio in questi giorni?

“Mi è venuta molto bene una ricetta che sembra semplice ma che è facile sbagliare a partire dal grado di cottura, la cacio e pepe”.

Regalami il tuo segreto per farla…

“Non posso svelare i trucchi dello chef!”.

Nel salutarci mi doni un messaggio di speranza come dottor Gabriel e uno come il solare Alberto?

“Come Gabriel, state a casa, perché se no io e Andrea Fanti saremo costretti a tenervi a letto per più di una settimana, e non è il caso, nonostante il sorriso di Andrea Fanti sia bellissimo. E l’altro messaggio è quello di cercare di rimanere uniti, di farci forza. Non dobbiamo dimenticarci che tra un po’ di tempo potremo ritornare ad abbracciare chi vogliamo bene e ricongiungerci con i nostri amici e le nostre famiglie. Dobbiamo fare tutti adesso un piccolo sacrificio che verrà premiato nel futuro”.

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