“La commedia della vanità”, una danza orgiastica che denuncia la violenza dei regimi totalitari

Sulla carta uno spettacolo della durata di 3 ore e 45 minuti complessivi diviso in tre atti assomiglia ad un sequestro dello spettatore. In realtà, il tempo scorre senza accusare stanchezza, anche se la pièce in questione avrebbe avuto lo stesso risultato asciugando. I tre atti, infatti, declinano ognuno un tema – rogo festoso, frustrazione e riconquista della propria identità – che viene dilatato come un refrain ripetendosi per circa 60 minuti, continuamente, fino allo sfinimento, una prostrazione che evidentemente si vuole trasmettere per far arrivare nelle viscere l’emergenza della violenza del potere con i suoi effetti devastanti nell’animo, nel fisico e nella mente del popolo. Lo spettacolo in questione è “La commedia della vanità”, in scena fino al 9 febbraio al Teatro Argentina di Roma. Claudio Longhi fa rivivere il testo del premio Nobel Elias Canetti in cui un governo totalitario mette fuori legge la “vanità” proibendo utilizzo e possesso degli specchi. Prendendo spunto dal rogo dei libri avvenuto il 10 maggio 1933 a Berlino, Elias Canetti immagina un grande fuoco di ritratti, foto e specchi: all’inizio la massa accoglie in maniera festosa questo divieto, ma poi scopre, dopo diversi anni, che a essere distrutta è l’idea stessa di identità. Nell’epoca dei selfie e di venti di dittature, questa pièce è mostruosamente attuale. Avvolti da una scenografia circense, due musicisti – al violino Renata Lacko e al cimbalom Sándor Radics – accompagnano ventitré attori – Fausto Russo Alesi, Donatella Allegro, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Diana Manea, Eugenio Papalia, Aglaia Pappas, Franca Penone, Simone Tangolo, Jacopo Trebbi, Rocco Ancarola, Simone Baroni, Giorgia Iolanda Barsotti, Oreste Leone Campagner, Giulio Germano Cervi, Brigida Cesareo, Elena Natucci, Marica Nicolai, Nicoletta Nobile, Martina Tinnirello, Cristiana Tramparulo, Giulia Trivero, Massimo Vazzana – in una sorta di danza orgiastica che investe anche gli spazi dello spettatore che, così, diventa parte integrante di una storia che si fa ammonimento.

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