Poetico e francescano il “Pinocchio” di Matteo Garrone

Mai definizione più bella racchiude l’essenza di Matteo Garrone: “Fa cinema con la penna biro”. A dirlo è Roberto Benigni in conferenza stampa a Roma presentando l’atteso film di questo Natale: “Pinocchio”, una produzione Archimede con Rai Cinema (il presidente Paolo Del Brocco firma tra i produttori, è la seconda volta per un film di Garrone, lo ha già fatto con “Dogman”) e Le Pacte, al cinema dal 19 dicembre in 600 copie (che il 25 diventeranno 700). “Pinocchio” è un film carico di poesia, leggero, ironico e magico. È la storia del legame unico e speciale tra un babbo e un bambino, tra Geppetto e Pinocchio. Fedele alla fiaba di Collodi, il film si apre con l’incredulità di essere diventato padre. Un Roberto Benigni dall’aspetto gentile e anziano è il primo personaggio ad apparire nel film: dopo l’immagine di un paesaggio collinare, con un paesino in cima, è lui che incontriamo preso dai morsi della fame a cui l’oste Moreno donerà da mangiare. Già in questa scena c’è tutta l’essenza della favola che Garrone racconta, sospesa tra dolcezza e divertimento. L’oste Moreno è il bravo Gigio Morra che dà il via ad un cast curato in tutti i particolari. Gigi Proietti è un Mangiafuoco dagli occhi melanconici (“È un uomo solo che vive con i burattini di legno – afferma l’attore -. Per interpretarlo mi sono adeguato al trucco”). Rocco Papaleo è un miope Gatto, mentre la Volpe è Massimo Ceccherini, una vera rivelazione nella scrittura, avendo firmato la sceneggiatura a quattro mani (“Scrivendo ero rimasto totalmente fedele al testo, asciugando solo un po’ qua e là – spiega Garrone -, dopo aver rivisto la parte del Gatto e della Volpe con Massimo, abbiamo riletto insieme tutte le scene arricchendole di nuova leggerezza”). Le fate turchine sono due: c’è la Fatina interpretata dalla piccola Alida Baldari Calabria (che qualche anno fa ha interpretato la parte di Pinocchio) e la Fata, tra le poche eccezioni straniere del cast (Garrone rivendica un film italiano tratto da un capolavoro italiano, con tutte facce italiane), a cui dà il volto casto ed etereo la parigina Marine Vacth, che come ha detto Garrone è “dolce, materna, non tenta mai di sedurre lo spettatore” (e per questo si ha una versione della fata turchina completamente diversa dall’immaginario offerto da Gina Lollobrigida nella versione di Luigi Comencini). E poi ci sono Ciro Petrone (già visto per Garrone in “Gomorra” e “Reality”) nei panni del Banditore, Maria Pia Timo in quelli simpaticissimi della Lumaca (una sorta di tuttofare della Fata), Davide Marotta nel Grillo parlante più simpatico che c’è, Massimiliano Gallo in quelli del Corvo e anche del direttore del circo, il piccolo Alessio Di Domenicantonio in quelli di Lucignolo, Enzo Vetrano in quelli del Maestro di scuola, Nino Scardina in quelli dell’Omino di burro, Paolo Graziosi in quelli di Mastro Ciliegia, Teco Celio in quelli del Giudice dal volto di scimmia. Tutti attori bravissimi, anche se col viso truccato, dando vita ad animali antropomorfi, perché si tratta di una favola allegorica e ogni personaggio richiama un precetto, un insegnamento di vita. Tutti gli attori lasciano nel cuore dello spettatore uno sguardo, una carezza, un tocco magico unici, come ad esempio Guillaume Delaunay nei panni di un circense: è di una tenerezza unica e al tempo stesso struggente il suo modo di guardare Pinocchio quando si allontana avvolto nei flutti marini. E poi dulcis in fundo c’è quindi proprio lui, Pinocchio, interpretato dal sempre più sorprendente Federico Ielapi. Al cinema lo si è già visto in “Quo vado” di Checco Zalone, e in tv è il piccolo Cosimo accolto nella canonica di “Don Matteo”. Anche in “Pinocchio” Federico si mostra schietto: nonostante sia “murato” nel silicone (materiale che riesce a rendere in maniera realistica tutte le sfumature del legno), rende in maniera sorprendente tutta la gamma delle emozioni e dei sentimenti. “Pinocchio è una favola molto bella. Ho provato tante emozioni sul set, non so dirle tutte per quanto fossero belle – dice Federico -. Sottopormi quattro ore al trucco tutti i giorni ne è valsa la pena perché poi pagano… E poi volete mettere lavorare con Benigni? Non è mica una cosetta da niente, lui è un Premio Oscar. Come Mark, ne ha due buttati in una vetrinetta”. Qui Federico parla del prosthetic make-up designer Mark Coulier, due volte Premio Oscar, che ha dato vita alla maschera di Pinocchio assieme a Pietro Scola Di Mambro (nipote del grande Ettore Scola), concept artist e character designer (Pietro non è l’unico “nipote” d’arte, per il sound design nei crediti si legge anche il nome di Brando De Sica, figlio di Christian e nipote di Vittorio). Non era facile accontentare Garrone che disegna Pinocchio da quando aveva 6 anni, ispirandosi a Enrico Mazzanti (Firenze, 5 aprile 1850 – 3 settembre 1910), l’illustratore della prima edizione in volume del burattino, ma loro ci sono riusciti. “Con ‘Il racconto dei racconti’ ho cominciato a mescolare reale e soprannaturale, ad entrare in una dimensione magica, ma questo film, ‘Pinocchio’ è una cosa a sé, è popolare come il capolavoro di Collodi: è per tutti. Sorprenderà e incanterà il pubblico facendo riscoprire un classico che è vivo nell’immaginario di tutti”. “Pinocchio è un racconto iniziatico, è semplice ma tocca in profondità – osserva Benigni -. È una storia di redenzione, rinascita, amore”. Benigni ricorda che il grande Federico Fellini (è rimasto sulla carta il suo progetto di Pinocchio con l’attore toscano) utilizzava la favola di Collodi in maniera premonitrice, puntando a caso il dito su una pagina. Nel 2002 Benigni girò il suo Pinocchio interpretando il burattino, mentre oggi è un tenero Geppetto. “Non ricordo l’ultimo film girato in Italia su Pinocchio – gioca -, ma questo di Garrone è di sicuro il più bello”. Di certo, questo di Garrone profuma di sapori genuini ed è il più francescano di tutti. Ci restituisce un mondo umile con immagini straordinarie che arrivano dalle tele dei Macchiaioli, con la fotografia firmata da Nicolaj Bruel, le scenografie di Dimitri Capuani e i costumi di Massimo Cantini Parrini. La colonna sonora avvolgente (di Dario Marianelli con il contributo di Petra Magoni che canta “Passo a passo”) sottolinea quegli stati d’animo che già ogni paesaggio racconta. La presenza importante di pesci (Garrone narra di un pescecane e non di un balena ) e pecore (tante pecore) accentua la vicinanza del racconto di Collodi al mondo del Vangelo. Nel film hanno risalto parole come giudizio e perdono. Si può parlare di un presepe al cinema, con un Geppetto che è molto San Giuseppe, e anche di una sorta di elogio di una nuova povertà francescana. Va detto anche però che questo “Pinocchio” è la storia di un figlio (con “il nome più bello del mondo”, come dice Geppetto nel film) che se manca di rispetto al papà, e c’è chi lo addita come una “testa di legno”, ha sempre un cuore puro e aperto al mondo. L’uscita del film di Garrone a Natale arricchisce questa festa, dunque, di nuova grazia, ed è francescano nel senso più candido che c’è.

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